Da tempo fanno discutere i criteri delle nomine dei CTU, i Consulenti Tecnici d’Ufficio che rappresentano una delle figure centrali nell’ambito dei procedimenti, ai quali spetta l’ultima parola, poiché orientano il giudizio del giudice che se ne avvale scegliendoli dagli appositi albi professionali.
Secondo un’opinione diffusa, i CTU sono spesso legati tra loro da rapporti professionali, oltre che con i magistrati che li nominano in virtù di un rapporto fiduciario che non prevede criterio alcuno se non la scelta del nominativo dall’apposito albo presente in ogni tribunale.
L’unica condizione imposta alla nomina dei CTU è quella del codice di procedura civile che prevede l’equa distribuzione degli incarichi tra gli iscritti all’albo, fissando nella misura del 10% il limite del conferimento che l’ufficio può affidare al singolo professionista.
Le perplessità di tali nomine spesso riguardano i rischi di “fidelizzazioni” tra magistrati e consulenti.
Perplessità che non verrebbero meno neppure con il limite imposto alla nomina del singolo professionista se realmente i CTU fossero legati tra loro da rapporti professionali e/o economici, poiché trattandosi di un rapporto fiduciario, le scelte avvengono in maniera non trasparente, creando una forma di dipendenza del professionista che tenderà a non scontentare chi gli ha conferito l’incarico, condizionando così l’andamento del processo.
Il rischio di “fidelizzazioni” tra CTU e magistrati (del quale abbiamo scritto più volte anche in merito a perizie circa la compatibilità di detenuti gravemente ammalati con la vita carceraria), ha anche un secondo risvolto non meno grave del primo, ovvero il ruolo dei pubblici ministeri che talvolta delegano il tutto alla perizia effettuata del consulente, trasformandolo nel dominus del processo.
Si parla di riforma della giustizia – forse soltanto a parole – ma sembra che a nessuno interessi sanare un vulnus che è sotto gli occhi di tutti, dettando nuove regole alle nomine dei “Signori” del processo: I CTU!