“Se dovesse fallire la diplomazia, per timore di sviluppi imprevedibili, e grosse perdite economiche e in termini di vite umane, l’ipotesi più probabile è quella che il Cremlino rinunci ad un attacco diretto sul fronte ucraino, limitando la sua azione al Donbass, attaccando i sistemi informatici del paese per creare il caos e rafforzando la sua presenza militare in Bielorussia”
Chiudevo così un mio articolo dello scorso 5 febbraio.
Non era necessario essere ai vertici di chissà quale intelligence per comprendere quello che sarebbe accaduto nei giorni successivi.
Putin (ormai lo scrivono anche i media più vicini alle posizioni russe) è determinato nel ricostituire l’antica gloria che fu dell’ex Unione Sovietica, e non rinuncerà all’uso della forza per riprendersi alcuni territori.
Di fatto, le esercitazioni militari in Bielorussia con l’invio di mezzi e contingenti russi, si sono trasformate nell’annessione del Paese che perde così la propria sovranità.
In molti hanno creduto alle parole di Putin e di Lukashenko, secondo le quali al termine delle esercitazioni i russi avrebbero lasciato la Bielorussia.
Parole rimaste soltanto chiacchiere al vento, visto che Lukashenko si appresta a concedere al Cremlino il diritto di stanziare nel Paese parte dell’arsenale nucleare russo.
Alla base di quello che può trasformarsi in un serio conflitto armato, la questione dell’Ucraina che vede contrapposti gli Stati Uniti e la Russia.
Per il Cremlino, l’eventuale ingresso dell’Ucraina nella NATO rappresenterebbe una seria minaccia a ridosso dei propri confini.
Per gli Stati Uniti, si tratterebbe invece del diritto di autodeterminazione di una nazione sovrana.
In realtà, quella dell’Aquila americana è una provocazione all’Orso russo, visto che ad oggi – e chissà per quanto tempo ancora – non ci sono le condizioni perché l’Ucraina possa entrare nella NATO.
Un’occasione ghiotta per Putin, che non aspetta altro che la scusa per tentare di annettere nuovi territori alla Russia, così come già avvenuto prima con la Crimea e adesso con la Bielorussia.
Paradossalmente, proprio per la Crimea era stato lo stesso Putin a invocare il diritto all’autodeterminazione dei popoli.
Un diritto che pare sia soltanto quello a senso unico in direzione di Mosca.
Per raggiungere quell’autodeterminazione – che porti tra le braccia del Cremlino – i russi attuano una strategia molto simile a quella che gli americani hanno utilizzato dal dopoguerra ad oggi.
Dopo aver infiltrato il paese da governare sotto la propria influenza, si genera il caos per giustificare un intervento armato, spesso spacciato come missione di pace.
Così, una minoranza filorussa in una nazione, grazie alla presenza di molti militari di Mosca che in abiti civili si spacciano per dissidenti, finiscono con il giustificare interventi ufficiali che, al fine di ripristinare la “democrazia”, sollecitano, organizzano e gestiscono i referendum che portano in un primo momento alla creazione di nuove repubbliche separatiste da annettere successivamente alla Federazione Russa.
Dopo la Crimea, è il turno del Donbass, dove Putin gioca la sua partita, copiando le stesse strategie che furono dello Special Operations Command americano.
Una partita non priva di rischi, che comunque finisca rappresenterà una sconfitta per l’Europa, alla sua sicurezza e alla sua economia.
Gian J. Morici