Non sempre la letteratura fa bene ai popoli, specie quella straniera.
Sarà che Matteo e Giorgia da bambini avevano fatto indigestione di opere della letteratura britannica; sarà che la voglia di immaginare qualche nuovo capolavoro letterario che narrasse la loro storia prese il sopravvento, sta di fatto che in età adulta pensarono bene di emulare le gesta di qualche eroe del quale avevano letto quando erano ancora bambini.
L’errore era stato quello dei genitori, che non considerando la scarsa propensione dei loro teneri virgulti – ma che accomuna un po’ tutti noi – per lo studio delle lingue straniere, e che in quanto straniere ne andrebbe abolito l’uso, avevano regalato ai loro pargoletti una riedizione in lingua inglese, non si sa di chi, del romanzo di Alexandre Dumas (padre), “Robin Hood. Il principe dei ladri”, quel tale Robyn Hode che non si sa se sia mai esistito o fu solo frutto di qualche mente perversa che s’inventò che la povertà non era cosa buona e giusta.
Ora, non si sa se la colpa fu della scarsa conoscenza della lingua o di chi curò la riedizione del romanzo, magari dopo una bella bevuta di Gin, di quello venduto nei peggiori pubs londinesi con l’aggiunta di abbondante assenzio, fatto sta che i nostri eroi si misero a emulare le gesta di quel tale Robyn Hode un po’ a modo loro.
A quel tempo governavano il loro paese tanti Senzaterra (di Cuor di Leone non ce ne era neppure l’ombra), ma anche senza né arte e ne parte, che terre, appartamenti e conti in banca ne avevano acquisito più delle ricchezze di Ramses II, senza mai lavorare neppure un giorno.
La cupidigia di questi signori, era così nota al popolo – che come sempre di tutta l’erba, compreso quella che si fuma, ne fa un fascio – tanto da coniare il motto “chi ruba poco va in galera, chi ruba molto fa carriera”.
E pare che di carriera ne fecero tanta molti politici del tempo.
La storia che sto qui a raccontarvi, non nasce nella contea di Nottingham e nella Foresta di Sherwood, bensì nella Suburra, dalla quale non era difficile raggiungere i colli Quirinale e Viminale, dove trovare riparo.
Nonostante l’epoca diciamo moderna – che di moderna aveva ben poco visti i tristi costumi della classe governante – tutta l’area dei Sette Colli e le aree limitrofe (l’intera città metropolitana), era dedicata alla Dea Lupa.
Sì, proprio quella delle sacerdotesse dei Lupercali che praticavano la prostituzione sacra.
E siccome si viveva in un’epoca nella quale non bisognava fare distinzione di genere, non mancarono neppure i sacerdoti del Dio Lupo (il maschio della Lupa) che prostituivano – se mai ne avevano – anche cervelli e dignità.
Ma torniamo ai nostri eroi e alla bevuta di Gin (che si sa, quando si è allegri si perde anche un regno per un bicchiere, e qualcuno meglio di altri lo sa) che stanchi di vedere i poveri ricchi costretti a pagar le tasse, una notte pensarono a come ridurre ogni forma di aiuto economico alle famiglie povere, per tagliare le tasse ai ricchi.
Una sorta di Robin Hood al contrario, ma la colpa non era loro
Era delle letture in inglese che non avevano ben compreso, e dei tanti ladri che grazie a leggi scritte con i piedi, s’impossessavano di ciò che non gli apparteneva poiché non ne avevano titolo.
Un po’ come dire che poiché di falsi invalidi ce ne erano tanti, bisognava togliere la pensione a tutti coloro che ne avevano diritto (ma non suggeritelo, altrimenti vi prendono in parola).
A nulla era servito che ai nostri prodi dicessero che la fame era nera, nera come la peste che dilagava in Europa al tempo di Robin Hood, quando cominciano a circolare le voci sulle gesta di un leggendario bandito che derubava i ricchi per dare ai poveri.
Anzi, il fatto che la fame fosse nera, li indusse a volerla eliminare, ritenendola, a causa del colore, un’immigrata clandestina.
Non illudetevi pensando che l’idea fosse quella di eliminarla riempiendo la pancia di tanti pezzenti (alla pancia del popolo loro parlavano, e parlavano, e parlavano… la riempivano solo di chiacchiere), la soluzione prospettata, fu quella di lasciarli morir di fame.
Una fame nera per una morte nera.
Non c’era più la peste – che era nera – ma il Covid, del cui colore non furono molti ad interessarsi.
Ogni sera, però, tutta la categoria alla quale appartenevano i nostri eroi, si prostrava in preghiera dinanzi l’effige di San Teodoro di Amasea (protettore dei ladri), infischiandosene che anche lui, il Santo, fosse un Santo d’ “importazione” (era nato in Siria od in Armenia), perché nessuno facesse di tutta l’erba un fascio – come facevano i due eroi di tutti i poveracci – visto che era uso comune dire che i politici fossero tutti ladri.
Ma ci son ladri e ladri, e bene lo sapeva il Santo che chi ruba poco va in galera e chi ruba molto fa carriera.
Non chiedetelo a noi – chiedetelo a Lui – perché la Santa Protezione continuò a funzionare solo per alcune categorie.
E copiando Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena – senza pagare i diritti intellettuali – tra un mojito e un ultimatum , i due novelli Robin Hood esclamarono: Se il popolo non ha più pane, che mangi brioche!
Gjm