Ai tanti silenzi, misteri e depistaggi che avvolgono la strage di via D’Amelio, si aggiunge quello di una delega di indagini a Paolo Borsellino, sulla strage di Capaci, da parte del ministero della Giustizia.
Ne scrive oggi il giornalista Damiano Aliprandi, in un suo articolo su “Il Dubbio”, citando un dispaccio dell’allora ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, Peter Secchia: «Il ministro ha annunciato che il 30 maggio avrebbe inviato Liliana Ferraro a Palermo per gestire il passaggio dell’intera indagine nelle mani di Paolo Borsellino, viceprocuratore locale e vecchio collaboratore di Falcone. La motivazione della nomina di questo magistrato e che lui sta già indagando sui complotti mafiosi di cui l’attentato di Capaci è parte».
Una notizia che sarebbe clamorosa, non tanto perché inedita, quanto perché taciuta e non indagata a fondo, nonostante fosse stata resa pubblica in un libro.
Il giudice Borsellino stava indagando sulla strage di Capaci?
Così sembrerebbe secondo quanto riportato a pagina 261 del libro ‘L’Italia vista dalla Cia’ del 2005 a firma dell’attuale direttore di Repubblica Maurizio Molinari e Paolo Mastrolilli e ripreso nell’articolo di Aliprandi.
“Di fatto – scrive il giornalista – è passato del tutto inosservato un documento di eccezionale portata che si trova, appunto, a pagina 261 del libro “L’Italia vista dalla Cia” del 2005. Il Dubbio è riuscito a visionarlo con non poche difficoltà, visto che il libro è oramai introvabile e puntualmente fuori catalogo quando si tenta di ordinarlo. Parliamo di un lavoro eccezionale compiuto dai due giornalisti. Hanno visionato tutti i documenti desecretati e conservati negli archivi federali degli Stati Uniti. Parliamo di commenti e dispacci da parte degli agenti della Cia e diplomatici del Dipartimento Usa.
Si tratta di documenti desecretati che riguardano anche la strage di Capaci, quando a Palermo giunsero esperti e agenti speciali dell’Fbi per collaborare alle indagini.
“Leggendo pagina 265 del libro che si sobbalza dalla sedia. Nel dispaccio americano c’è scritto: «Il rappresentante del Dipartimento di Giustizia Warlow e il consigliere Mangiacotti hanno acconsentito a chiamare Martelli il 2 giugno, in risposta alla sua richiesta di incontrare gli investigatori che conoscono i clan mafiosi indagati da Falcone». L’ambasciatore aggiunge, nero su bianco, questa notizia clamorosa: «Il ministro ha annunciato che il 30 maggio avrebbe inviato Liliana Ferraro a Palermo per gestire il passaggio dell’intera indagine nelle mani di Paolo Borsellino, viceprocuratore locale e vecchio collaboratore di Falcone. La motivazione della nomina di questo magistrato e che lui sta già indagando sui complotti mafiosi di cui l’attentato di Capaci è parte».
Una presunta indagine, che se non riconducibile a una delega ‘ministeriale’ – non certamente giudiziaria – potrebbe essere frutto di un’errata interpretazione da parte dell’ambasciatore statunitense, ma sta di fatto che nella sua agenda grigia, il giudice Borsellino, alla data del 30 maggio 1992, aveva appuntato il nome della Ferraro, messo tra parentesi accanto a quello di Morvillo, collega e cognato di Falcone.
Un appunto che nel corso delle indagini sulla strage di via D’Amelio, avrebbe dovuto portare a chiedere all’interessata quale fosse stato l’oggetto di quell’incontro. Invece, nulla.
Ne prima e né dopo la pubblicazione del libro che riporta la nota dell’ambasciatore americano, i magistrati che seguirono le indagini chiesero alla Ferraro il perché di quell’appunto, né tantomeno al ministro di Giustizia (Martelli) chiesero spiegazioni in merito a quella presunta misteriosa indagine.
Che il giudice Borsellino agisse al di fuori delle regole è impensabile, ma che fosse interessato al dossier mafia-appalti e alle anomalie della gestione di quel dossier da parte della procura di Palermo – diretta allora dal procuratore Giammanco – è un dato di certezza.
È la dottoressa Ferraro che narra che dopo l’uccisione di Falcone, quando incontrò il giudice in aeroporto, il 28 giugno del 1992, la signora Agnese pregò il marito di «lasciare», ottenendo una risposta negativa.
Lasciare cosa?
Forse lasciar perdere il dossier mafia-appalti, per timore che potesse accadere al marito quello che era già accaduto all’amico e collega Giovanni Falcone?
E se la spiegazione stesse proprio nella nota dell’ambasciatore americano che avrebbe potuto ritenere una “delega” alle indagini sulla strage di Capaci da parte dell’allora ministro di Grazia e Giustizia (Claudio Martelli) anziché un incontro che aveva per oggetto il dossier mafia-appalti e quell’indagine alla quale tanto teneva?
Un errore che sarebbe spiegabile soltanto con il fatto che gli investigatori americani ritenessero mafia-appalti il motivo dell’uccisione di Falcone, e di conseguenza avessero interpretato l’interesse di Borsellino a quell’indagine e gli incontri con la Ferraro, come una delega di indagini per la strage di Capaci.
Aliprandi ricostruisce anche l’incontro del 28 giugno 1992, quando Borsellino, in aeroporto, parlò con la dottoressa Liliana Ferraro, all’epoca capo affari penali del ministero della Giustizia, di questioni riguardanti la strage di Capaci e del dossier mafia-appalti.
“In particolare – scrive il giornalista – di un episodio ben specifico che vale la pena rievocare. Accadde che, violando di fatto il segreto istruttorio, l’allora capo della procura di Palermo Pietro Giammanco inviò il dossier mafia-appalti al ministero della Giustizia.
«Ho memoria del fatto di aver affrontato col dottor Borsellino il tema del rapporto mafia-appalti poiché lo stesso sapeva della mia conoscenza di tale rapporto (si legge nel verbale nel verbale di sommarie informazioni del 14 ottobre 2009, rese dalla Ferraro – ndr) Ed invero nell’agosto dell’anno prima, in una giornata di sabato, il dottor Falcone mi contattò telefonicamente per dirmi che avevano portato un plico al ministro Martelli e voleva che fossi io a prenderlo e ad esaminarlo, cosa che effettivamente feci. Il giorno seguente il dottor Falcone mi contattò nuovamente, chiedendomi di fare in fretta ad esaminare i documenti e a sigillarli nuovamente».
La Ferraro aggiunge: «Il plico in questione venne poi restituito alla Procura di Palermo e ricordo che in una occasione entrai nella stanza del dottor Falcone il quale era in conversazione telefonica col dottor Borsellino cui disse che ero stata io a redigere la lettera, unitamente a lui, con la quale il plico venne restituito alla Procura di Palermo».
Ebbene – prosegue Aliprandi – evocando tale ultimo episodio, Borsellino volle sapere dalla Ferraro quale fu la reazione di Falcone a quella vicenda. Sappiamo anche che poco prima del tragico 19 luglio, Borsellino telefonò alla Ferraro dicendole che sarebbe andato a trovarla al ministero perché le doveva parlare a proposito degli argomenti che avevano affrontato l’ultima volta che si erano visti. Come mai parlava con lei e avrebbe voluto riferire i suoi approfondimenti, prima ancora di recarsi alla procura di Caltanissetta dove era intenzionato a denunciare ciò che aveva scoperto sulla strage?”
Delega o non delega, questo potrebbe spiegare anche l’incontro del 25 giugno 1992 tra gli ex Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno presso la caserma Carini, quando Borsellino, diffidando dei suoi colleghi di Palermo, chiese ai due ufficiali dei carabinieri di proseguire l’indagine su mafia-appalti e riferirne a lui.
Dell’incontro in aeroporto tra la Ferraro e Borsellino, sappiamo che parlarono del dossier mafia-appalti; che la Ferraro disse a Borsellino della visita di De Donno e dell’intenzione dei Ros di sondare la possibilità che Vito Ciancimino iniziasse un rapporto di collaborazione.
Fatto questo, dinanzi al quale Borsellino – afferma la Ferraro – non ebbe nessuna reazione, mostrandosi per nulla sorpreso e quasi indifferente alla notizia, dicendole comunque che se ne sarebbe occupato lui.
Che il giudice Borsellino potesse non essere rimasto sorpreso dinanzi quanto riferito dalla Ferraro, secondo alcuni magistrati poteva voler significare che lo stesso giudice molto probabilmente era stato già informato della “trattativa” in corso durante quell’appuntamento del 25 giugno alla Caserma Carini con Mario Mori e Giuseppe De Donno (una conclusione, quella dei magistrati, smentita da Mori che ha sempre negato di aver parlato di Ciancimino in quella circostanza), ma questo non spiegherebbe la quasi totale indifferenza dinanzi un fatto che avrebbe condannato e rispetto il quale si sarebbe messo di traverso.
Se come è giusto che sia, l’incontro del 28 giugno in aeroporto è stato scandagliato a fondo, sentendo i testi, perché nessuno ha posto domande in merito all’appunto del 30 maggio 1992, quando Borsellino nella sua agenda grigia scriveva il nome della Ferraro?
Perché, dopo la pubblicazione del libro ‘L’Italia vista dalla Cia’ del 2005 a firma dell’attuale direttore di Repubblica Maurizio Molinari e Paolo Mastrolilli, nessuno ha chiesto lumi ai giornalisti che hanno scritto del dispaccio dell’allora ambasciatore degli Stati Uniti in Italia?
Se l’interpretazione dell’interesse di Borsellino a mafia-appalti, data dall’ambasciatore americano l’avessero data anche altri, magari venuti a conoscenza del rapporto tra il giudice e la Ferraro – che non dobbiamo dimenticare collaborava con Falcone – non potrebbe essere stata la causa dell’accelerazione della sua uccisione?
Peccato che nessuno abbia voluto approfondire, chiedendo direttamente a chi forse avrebbe avuto molto di più da dire…
Peccato che dopo trent’anni di indagini, spetti a giornalisti come Aliprandi (in verità veramente pochi) di dover narrare fatti che fin dall’inizio dovevano essere oggetto di approfondimenti da parte di investigatori e magistrati.
A quando una nomina di “procuratore honoris causa conferita” a giornalisti?
Gian J. Morici
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