Soltanto di recente, e grazie all’interessamento di pochi (dai quali possiamo escludere le firme dei “giornaloni” e le associazioni antimafia dedite alle passerelle del 23 maggio e del 19 luglio), si è fatto un passo avanti nella scoperta di alcune verità che ci riportano alla genesi delle stragi di Capaci e via D’Amelio, ai veleni all’interno del palazzo di giustizia di Palermo, alle strane indagini condotte, ai depistaggi.
Un primo input è arrivato dall’attuale procura di Caltanissetta e dai più recenti processi.
Eppure, salvo qualche rara eccezione, ci sono voluti quasi trent’anni perché la stampa cominciasse timidamente ad accennarne.
Paura della mafia? No, forse paura di una giustizia che tale non è stata.
Come si può negare che Borsellino fosse interessato al filone mafia-appalti?
Per decenni sono stati mantenuti secretati atti che potevano aiutare a capire cosa fosse successo.
Per decenni non sono state sentite persone come l’ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco, il quale avrebbe avuto molto da dover dire o da spiegare.
Ha ragione Fiammetta Borsellino, che ancora si chiede il perché; ha ragione l’avvocato Fabio Trizzino, difensore dei figli di Paolo Borsellino, nonché genero del giudice ucciso, che nel corso dell’intervista rilasciata alla giornalista Annamaria Caresta di Radio Uno Rai, chiede conto e ragione dei tanti buchi neri che hanno divorato la verità sulle stragi.
Chi aveva da temere dalla verità?
Il covo di vipere – così come Paolo Borsellino indicava la procura di Palermo – era forse abitato da “punciuti”?
Erano forse mafiosi coloro dei quali il giudice Borsellino intendeva parlare a Caltanissetta in merito a fatti interni alla procura di Palermo?
Perché Borsellino disse che lo avrebbero ucciso e che sarebbe stata la mafia a farlo ma a permettere la sua morte sarebbero stati i suoi colleghi ed altri?
Erano forse i mafiosi quelli che per anni non hanno indagato, quelli che hanno depistato, quelli che hanno taciuto?
A narrare all’opinione pubblica di un discorso pubblico e di due verbali “nascosti” per decenni, dai quali si evinceva l’intenzione di Borsellino di denunciare a Caltanissetta fatti che riguardavano la Procura di Palermo, è il giornalista Damiano Aliprandi che alla vicenda ha dedicato un articolo ricco di particolari, che però apre a scenari ancor più inquietanti su una strage di mafia che ha visto la convergenza di interessi economici e forse l’interesse, o quantomeno l’acquiescenza, di quegli stessi ambienti che avrebbero prima dovuto proteggere Falcone e Borsellino, e indagare dopo le avvenute stragi, far chiarezza, anziché favorire depistaggi e uccidere con il loro silenzio la verità.
Quali erano le questioni “terribili” (definizione coniata da Borsellino) che riguardavano la Procura di Palermo?
Chi erano i soggetti dei quali Borsellino avrebbe voluto parlare a Caltanissetta?
Perché Borsellino il giorno prima di essere ucciso avrebbe detto alla madre di essere contento di ciò che stava facendo – perché era riuscito ad andare in fondo – e poi avrebbe potuto smettere di fare il magistrato?
Cosa aveva scoperto?
E ancora, poteva il covo di vipere essere composto da un solo procuratore che osteggiò fino all’ultimo Falcone e Borsellino?
L’Agenda Rossa
Anche della famosa agenda scrive Aliprandi nel suo articolo.
Quell’agenda scomparsa e così segreta della quale nessuno conosceva i contenuti.
Nessuno tranne qualche pseudo pentito “inquinatore di pozzi” che ne aveva parlato, e tranne chi di recente ha dato per certo che contenesse rivelazioni su presunte “entità”.
La domanda viene spontanea: Come fai ad affermare con certezza quali fossero i contenuti, quando hai letto l’agenda?
Eppure continuiamo a far finta di niente.
Fin quando ci sarà il mistero dell’Agenda Rossa potremo addebitare le stragi alle “entità”; potremo continuare a giocare ai complottisti; potremo prendere parte alle commemorazioni delle stragi, urlando a squarcia gola e dimenandoci come ci avesse morso una tarantola.
Se poi non abbiamo mai chiesto la desecretazione di un solo atto utile a ristabilire una verità, poco importa.
Se ci siamo circondati di soggetti più falsi dell’oro di Bologna, non ha importanza.
L’importante è apparire, essere presenti in via D’Amelio.
E il popolo dei complottisti strepita e plaude felice.
Complotto per complotto, l’articolo di Aliprandi offre un nuovo spunto (forse meno “complotto” e più veritiero di altri).
Riina parlava dei contenuti dell’agenda rossa
“Lo sapeva anche Totò Riina? – scrive Aliprandi – Nelle trascrizioni delle intercettazioni del 29 agosto 2013, parla dell’agenda rossa e dei documenti che qualcuno fece sparire anche al generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Si chiede come mai accadono queste sparizioni. Ad un certo punto, subito dopo aver nominato il fatto di dalla Chiesa, dice: «Perché, anche questa agenda rossa, cioè, le rilevazioni che aveva fatto questo… questo per quello… gli faccio io… perché c’è… c’è… non può essere perché sono presenti i Magistrati?»”.
Un nuovo spunto sul quale scrivere, parlarne al bar, agitare agende e organizzare convegni.
Assisteremo a queste scene, oppure la paura avrà la meglio?
E non è certo la paura della mafia…
Gian J. Morici