I finanzieri del Comando Provinciale di Arezzo proseguono il “monitoraggio” su tutte le risorse pubbliche impiegate per attenuare le conseguenze della crisi economica generata dal covid-19.
Sono in corso numerose attività di analisi, una di queste riguarda la misura dei “Contributi a fondo perduto”, (somme di denaro elargite senza obbligo di restituzione), varata dal governo sin dall’inizio della fase emergenziale, prima, con il Decreto “Rilancio” e, successivamente, con le varie edizioni dei Decreti “Ristori” e “Sostegni”.
I contributi sono stati erogati nei confronti di una vasta platea di imprese e professionisti della provincia di Arezzo, progressivamente estesa nel tempo, e sono commisurati al calo del fatturato registrato per effetto della crisi pandemica.
Tuttavia, tali elargizioni (come, del resto, tutte le erogazioni pubbliche) sono precluse a coloro che sono stati condannati per determinate tipologie di reati, tra i quali l’associazione di stampo mafioso, quella finalizzata al traffico illecito di stupefacenti e la truffa aggravata, così come previsto dal “codice antimafia”.
Allo stesso modo, le aziende colpite da informazione interdittiva antimafia, emessa dal prefetto all’esito di accertamenti che hanno fatto emergere contiguità con la criminalità organizzata, non possono ottenere provvidenze pubbliche.
Proprio nei confronti di queste ultime “categorie” è stata appuntata l’attenzione del nucleo di polizia economico finanziaria, che, grazie all’incrocio delle informazioni acquisite dalla prefettura con gli elementi ricavati dalle banche dati, ha “passato al setaccio” centinaia di posizioni, individuando alcuni imprenditori – 6 in tutto – che hanno avuto accesso al denaro statale, senza averne titolo, per la presenza di condanne per gravi reati e di interdittive antimafia.
L’analisi delle posizioni irregolari ha riguardato anche lo “stato giuridico” delle imprese richiedenti.
E’ emerso, difatti, il caso di aziende che hanno presentato l’istanza, pur essendo poste “in liquidazione” in epoca anteriore alla dichiarazione dello stato di emergenza (31 gennaio 2020).
Secondo la normativa in vigore e le circolari dell’agenzia delle entrate via via emanate, il contributo non spetta alle aziende che siano sottoposte alla “procedura della liquidazione”, condizione che prelude allo scioglimento ed all’interruzione dell’attività.
Ciò in contrasto con la finalità della normativa emergenziale, che mira invece a “risollevare”, sotto il profilo finanziario, le imprese che versano in difficoltà a causa della crisi post-pandemica (e non perchè sofferenti per cause pregresse e di altra natura), con l’obiettivo di favorire il superamento della congiuntura economica negativa e garantire la continuità aziendale.
Le imprese “in liquidazione” che hanno indebitamente richiesto il contributo, alla fine, sono risultate ben 18.
Ad ogni modo, non appena avviati i controlli, 5 di queste aziende hanno spontaneamente restituito le somme, comprensive di interessi e sanzioni, ravvedendosi dell’ “errore” commesso.
Infine, ultima fattispecie riscontrata è quella di chi ha presentato l’istanza, dichiarando non correttamente di avere il domicilio fiscale o la sede operativa nel territorio di comuni colpiti da eventi calamitosi (alla data del 31 gennaio 2020).
Circostanza questa che permette di ottenere le erogazioni, prescindendo dal requisito del calo del fatturato.
7 sono le posizioni risultate illegittime, tutte scoperte nel casentino, a seguito degli accertamenti condotti dalla Tenenza di Poppi, con il coordinamento del Gruppo di Arezzo.
Complessivamente, sinora, le attività economiche rimaste “nelle maglie” dei controlli sono 26.
I settori maggiormente interessati sono quello immobiliare, della ristorazione e del commercio al dettaglio.
I responsabili sono stati segnalati alla Procura della Repubblica di Arezzo, per l’indebita percezione di erogazioni a danno dello stato, o verbalizzati con sanzione amministrativa, laddove il contributo incassato non supera la soglia-limite di 4.000 euro, prevista per la punibilità penale (gli importi variano da un minimo di 1.000 euro ad un massimo di 40.000 euro).
L’attività svolta dalle fiamme gialle di Arezzo è solo l’ultima di una serie di iniziative per il contrasto degli illeciti nel settore della spesa pubblica, che ha assunto un “ruolo centrale” nella corretta ed efficace assegnazione delle risorse, a sostegno degli operatori realmente danneggiati dalla crisi economica generata dall’emergenza sanitaria, che agiscono nella legalità.