L’ex magistrato è intervenuto sul caso Giovanni Brusca sottolineando l’azione preventiva che lo Stato deve compiere nei confronti della mafia attraverso il rispetto della persona comunque, anche di chi è o è stato mafioso.
“Secondo me l’ergastolo non dovrebbe esistere nel sistema penale italiano. Inserendo ovviamente a fine pena il controllo nei confronti del condannato per rivedere qual è il percorso che è stato fatto”. In un’intervista rilasciata nel podcast “Notizie a colazione” l’ex magistrato, già consulente per la Commissione parlamentare sulla mafia, è intervenuto sul caso della scarcerazione di Giovanni Brusca paragonando il sistema penale italiano con quello norvegese.
“In Norvegia si dice: ‘dopo ventidue anni esci, salvo che..’. In Italia si dice: ‘Non esci più, salvo che…’. Sono due cose diverse”. E per spiegare meglio il concetto Gherardo Colombo riporta il caso di Anders Breivik, autore degli attentati del 22 luglio 2011: “L’omicida era ideologicamente orientato. Ha ucciso una settantina di ragazzi che stavano partecipando a un convegno di giovani socialdemocratici in Norvegia. E’ stato processato ed è stato condannato a ventidue anni di reclusione. Perché in Norvegia, il massimo dei massimi delle pene che può essere inflitto è giusto di ventidue anni. Questo per dire che esiste di fatto, proprio concretamente, una soluzione diversa rispetto a quella che prevede che comunque, come succede in Italia, certi reati debbano essere puniti con l’ergastolo. Poi è ovvio che se dopo ventidue anni, il signore che ha ucciso circa 70 persone, quando si tratta di dare l’assenso all’uscita dice ‘se esco faccio esattamente quello che ho fatto prima’, si evita che esca. Ma questo ci dice una cosa molto chiara ed evidente, e cioè che se nel corso di questi ventidue anni, la persona che ha ucciso più di settanta persone cambia idea e ovviamente è dimostrato che cambia idea, basta. Viene reintegrato nella società”.
Nel corso del suo intervento a “Notizie a colazione” l’ex magistrato, che in passato ha condotto o contribuito a inchieste quali la scoperta della Loggia P2, il delitto Giorgio Ambrosoli, Mani pulite e i processi Imi-Sir, ha ripercorso quella che era la ratio della norma che ha portato alla scarcerazione di Giovanni Brusca: “Nel 1991 la mafia era particolarmente cruenta. Era estremamente difficile penetrarla e una soluzione poteva essere quella di cercare di slegare il tessuto connettivo che legava le persone al suo interno attraverso il riconoscimento di un trattamento molto molto favorevole a coloro che avessero collaborato. Poi ci sono stati i processi e i processi sono arrivati a una conclusione in linea con le norme che esistevano allora e con le norme che esistono adesso. In uno Stato di diritto, nel momento in cui si stabilisce una regola, la regola la si segue. Lo Stato ha detto ‘Se collabori io ti garantisco questo trattamento’. E lui ha detto: ‘va bene ti credo. E siccome ti credo collaboro’. Ha collaborato ed è stato condannato a quello che poteva prevedere venisse condannato. Questo punto di vista non è solo attinente al profilo legale in senso stretto, ma anche attinente alla correttezza del comportamento delle Istituzioni. Perché se lo Stato promettesse una cosa e poi non la mantenesse, insegnerebbe a imbrogliare”.
Estremamente forte è poi l’impronta che Gherardo Colombo dà al contrasto alla mafia guardando al momento preventivo: “Con tutte le persone che stanno al 41bis – si chiede l’ex magistrato – è scomparsa oggi la mafia? Vogliamo entrare in una prospettiva diversa e cercare di fronteggiare la mafia non solo a livello repressivo, ma cercare di farlo a livello preventivo? A livello pedagogico. Che possibilità di marginalizzare o di escludere completamente il pensiero mafioso abbiamo nel nostro paese se non siamo capaci di educare alla non mafia? Liberare dalla mafia. Padre Pino Puglisi è stato ammazzato perché educava i ragazzi. Dava molto più fastidio di tanti altri. E educare le persone vuol dire anche avere la speranza che si possa cambiare. Perché se non si ha quella speranza non c’è niente da fare. Torniamo al rapporto tra lo Stato e chi si macchia di terribili delitti di mafia. Qual è il compito dello Stato? Non è attraverso i premi e le punizioni che si riesce a mettere da un canto la mafia. La mafia si estirpa proprio attraverso l’educazione. L’educazione del rispetto della persona, comunque. Dove ‘comunque’ vuol dire anche del rispetto di chi è o è stato mafioso. Perché altrimenti scendiamo sullo stesso livello, ed educhiamo a non rispettare la dignità della persona, qualunque essa sia”.