CALTANISSETTA – Si è concluso con una condanna a otto anni e sei mesi il processo a carico dell’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo Silvana Saguto, nato dallo scandalo dei beni sequestrati. Condanne pesanti anche per i componenti del “cerchio magico” che orbitava intorno a quella che fino a cinque anni fa era la giudice più potente dell’antimafia.
Sette anni e sei mesi all’avvocato Cappellano Seminara; sei anni e dici mesi al professore Provenzano; tre anni per l’ex prefetto di Palermo Cannizzo; sei anni e due mesi all’ingegner Lorenzo Caramma, marito di Saguto; sei anni e due mesi a Roberto Nicola Santangelo, amministratore giudiziario; un anno e dieci mesi per l’avvocato ed ex amministratore giudiziario Walter Virga; sei mesi per Emanuele Caramma, figlio della Saguto; due anni e otto mesi per Roberto Di Maria, preside della facoltà di Giurisprudenza di Enna; quattro anni e due mesi per Maria Ingrao, moglie di Provenzano; quattro anni e due mesi per la cognata di Provenzano, Calogera Manta; quattro anni al colonnello della Dia Rosolino Nasca. Assolti invece Vittorio Saguto, padre dell’ex magistrato, Aulo Gigante e Lorenzo Chiaramonte, ex giudice della sezione Misure di prevenzione
Sergio D’Elia, Segretario di Nessuno tocchi Caino e Pietro Cavallotti, membro del Consiglio direttivo della associazione e vittima delle misure di prevenzione adottate dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo presieduta dalla dottoressa Silvana Saguto, oggi condannata dal Tribunale di Caltanissetta a 8 anni e 6 mesi di reclusione, hanno dichiarato quanto segue:
“Non c’è nulla da esultare per questa condanna. La condanna della Saguto non restituirà il patrimonio alle persone alle quali è stato ingiustamente confiscato. Né le persone che hanno ottenute le proprie aziende, dopo un lungo calvario giudiziario, otterranno un giusto indennizzo. Chi crede nella giustizia, chi è per lo Stato di Diritto, non chiede “pene esemplari” ma riforme ispirate ai principi dello Stato di Diritto. Chi ama la libertà non gode se altri perdono la libertà, di fronte a sanzioni così pesanti. La condanna non allevierà le sofferenze di tutte le persone che la Saguto ha rovinato. Il suo dolore, la sua sofferenza non possono essere motivi di gioia e neppure di soddisfazione.”
Sergio d’Elia e Pietro Cavallotti hanno poi affermato: “Il processo Saguto, indipendentemente da come andrà a finire, sarà una grande occasione persa se lo Stato non metterà mano al sistema delle misure di prevenzione. I danni che ha fatto la Saguto, non diversi da quelli causati da tanti altri giudici e amministratori giudiziari, sono derivati da una legge che permette di disintegrare la vita di un uomo senza prove e di disporre dei suoi beni come meglio crede. Il problema delle misure di prevenzione non era e non è la Saguto ma il regime normativo inquisitorio delle stesse misure di prevenzione dettato da logiche emergenziali che elevano il sospetto a prova e sono contrarie ai principi del giusto processo. Se riforme in questo senso non vi saranno, come è molto probabile, a livello legislativo, continueremo a perseguire le vie dei ricorsi alle Alte Giurisdizioni, dalla Corte Costituzionale italiana alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.”
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