30 maggio 2006 – Lucia Bartolomeo, infermiera all’ospedale di Lecce, uccide il marito, Ettore Attanasio, con una massiccia dose di eroina. Questi i fatti, secondo i giudici, che hanno portato a una condanna all’ergastolo della donna. Anni di processi, di gogne mediatiche, di sentenze, nate forse da un gravissimo errore scientifico, da una serie di ipotesi mai provate, dalla condanna morale di una donna che aveva una relazione extraconiugale. In Italia accade anche questo. Una serie di indizi, un comportamento “riprovevole” (aveva un amante) e la professione del presunto assassino sono sufficienti ad aprire le porte di un carcere per il “fine pena mai”?
Ma non soltanto a questo. Il mancato pentimento di avere intrattenuto un rapporto extraconiugale, si trasforma nell’aggravante per non concedere benefici di legge. E di “mancati pentimenti” è costellata la storia giudiziaria di Lucia Bartolomeo – che da sempre si è dichiarata innocente – visto che anche la possibilità di ottenere permessi-premio per vedere la figlia Alessia, per anni le era stata negata (nonostante il parere favorevole della direzione del carcere e di un team di specialisti) dalla giudice di sorveglianza perché la donna non ha mai riconosciuto la propria responsabilità nella morte del marito. Un mancato ravvedimento che a parere della giudice gettava pesanti ombre sull’affidabilità della detenuta.
Quasi un ritorno indietro di diversi secoli, quando con la bolla ad extirpanda, Innocenzo IV autorizzò l’uso della tortura perché gli eretici rendessero all’autorità civile un’aperta confessione. E cos’è il carcere per una persona innocente, costretta – per ottenere benefici di legge – al pentimento di un crimine mai commesso, se non il tentativo di estorcere una confessione? Lucia Bartolomeo non si arrende, continua a proclamare la propria innocenza. Quell’innocenza la cui prova è messa oggi nelle mani di due avvocati esperti in errori giudiziari, ai quali si devono revisioni di processi anche di ex ergastolani, come nel caso di Giuseppe Gulotta che a distanza di 36 anni dal suo arresto, grazie agli avvocati Baldassare Lauria e Pardo Cellini, vide riconosciuta la propria innocenza.
Spetterà infatti ai due avvocati – che hanno già presentato richiesta di revisione del processo in danno alla Bartolomeo – dimostrare come la condanna sia stata frutto di un processo indiziario fondato su un gravissimo errore scientifico, commesso, secondo i legali, dalla perita del PM., dovuta alla remissività del perito di parte dinanzi l’autorevole collega e ad un giudizio morale sull’imputata, che non dovrebbe trovare spazio alcuno in un processo: “Nel corso delle vari fasi del processo penale a suo carico la donna sempre ripiegata su sè stessa non ha manifestato alcun segno di concreto pentimento e di revisione critica rispetto alla sua condotta di vita, violativa del vincolo di fedeltà matrimoniale” .
Lucia Bartolomeo, infermiera e con una relazione extraconiugale, veniva condannata alla pena dell’ergastolo perché ritenuta responsabile dell’omicidio del marito, Ettore Attanasio, al quale avrebbe iniettato, tramite una fleboclisi, un quantitativo imprecisato di eroina. Un dato di presunta certezza dovuto al rinvenimento nei residui di liquido biliare, fegato e rene, di Codeina e Morfina, nonché tracce di MAM6 (monoacetilmorfina6) compatibili con l’assunzione di una dose “non trascurabile” di eroina.
L’accertata assenza di patologie in grado di provocare il decesso dell’Attanasio, il “movente del delitto” (la voglia di rifarsi una vita con l’amante) e la professione svolta dalla donna (infermiera), hanno rappresentato le prove assunte per emettere un giudizio di colpevolezza “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Anni di processi nel corso dei quali si è dibattuto sulla quantità di eroina iniettata al marito, per stabilire se fosse sufficiente a ucciderlo o meno, senza che nessuno si interessasse di verificare con certezza che Ettore Attanasio fosse morto a causa dell’assunzione – spontanea o meno che fosse e a prescindere dalla sua quantità – del noto stupefacente.
Ed è questa la prima sorpresa. I due legali della Bartolomeo, collaborati dai consulenti, scoprono un errore scientifico in merito alla ritenuta assunzione di eroina da parte della vittima. Dalla revisione dei preparati istologici e il riesame dei referti e delle perizie e consulenze agli atti del processo, emergerebbe la mancanza della Monoacetilmorfina (MAM6), metabolita e segno distintivo dell’eroina. Una sorta di “carta di identità” della droga in questione. Attanasio dunque non morì per avere assunto eroina. Le quantità di morfina e codeina rinvenuta nel fegato e nel rene, sarebbero dovute all’assunzione di farmaci che il suo medico curante gli aveva prescritto a causa di un’astenia e a farmaci antidolorifici assunti dall’uomo, come affermato dalla Bartolomeo e dichiarato da altri testi.
Un primo dubbio nasce da quanto affermato dai consulenti del P.M., Proff. Chiarotti e Costamagna, che hanno condotto gli accertamenti tossicologici, circa la presenza nei frammenti del fegato di morfina e nei frammenti del rene tracce di codeina e tracce (non identificabili) di MAM 6.
Perché dalla lettura degli atti e degli allegati delle consulenze tali dati tossicologici non sono documentati in alcun modo?
L’allora consulente della difesa, non contestò il dato affermato dai consulenti (Chiarotti e Costamagna) del P.M., e come ha riferito non ha mai visto le analisi, essendosi “affidato” a quanto da questi asseritamente constatato.
Se venisse accertata l’assoluta mancanza dell’assunzione dell’eroina da parte del marito della Bartolomeo, non si tratterebbe della prima volta che la Dottoressa Luisa Costamagna si sarebbe resa protagonista di un grave errore processuale, visto il suo coinvolgimento, quale perito per la parte tossicologica della Procura, nel noto processo a carico di Daniela Stuto, accusata, arrestata e poi assolta per la morte di Francesca Moretti a Roma.
Il Presidente, nella circostanza di quell’errore, usò parole durissime nei riguardi della Costamagna, la quale ammise di aver pensato che il cianuro si comportasse alla stessa maniera di altre sostanze. Una sua “deduzione” a seguito della quale il PM aveva chiesto 25 anni di reclusione per Daniela Stuto, accusata di aver avvelenato la sua amica.
Nel mondo anglosassone se in un processo si scopre che un perito ha commesso un errore, scatta il controllo d’ufficio su tutte le sue perizie precedenti, fino a procedere all’eventuale revisione dei processi. In Italia, purtroppo, anche periti che hanno preso cantonate clamorose continuano a essere chiamati dai PM come se nulla fosse accaduto.
Se non fu la Bartolomeo a uccidere il marito con una dose letale di eroina, perché morì Ettore Attanasio?
Secondo la difesa, i dati clinici sarebbero compatibili con le conseguenze dovute a esposizione/contatto con PCB o agli effetti prodotti sull’organismo dai farmaci che aveva assunto.
Sulla prima ipotesi, la difesa ha fatto rilevare come l’Attanasio avesse prestato la sua attività lavorativa alle dipendenze di una ditta coinvolta in un disastro ambientale proprio a causa dell’interramento di fusti di PCB. Lo stesso Attardo, avrebbe preso parte a queste attività, ricevendo compensi maggiori a quello che sarebbe stato il suo stipendio contrattuale, e non sarebbe stato il solo a manifestare le conseguenze di tale attività, poiché almeno un altro soggetto confermava che nel settembre del 2006 era stato ricoverato nel reparto di neurologia, presso l’Ospedale di Tricase, per una poliradiculonevrite subacuta tipo Guillain Barrè con paraparesi flaccida di origine virale, che gli aveva provocato difficoltà a camminare, dolore alle gambe, perdita di sensibilità etc.
Questo aspetto, evidenziato dai legali della Bartolomeo, all’epoca non venne approfondito, limitandosi ad ascoltare soltanto le testimonianze di alcuni colleghi di lavoro senza mai spingersi a verificare scientificamente la fondatezza dell’ipotesi della malattia contratta in ambito professionale. Ciò anche in considerazione del fatto che non erano state emesse le condanne relative all’inquinamento da PCB dei terreni dove l’Attanasio lavorava. La sintomatologia manifestata dall’Attanasio nei giorni antecedenti il decesso, a parere dei consulenti nominati dalla difesa, sarebbe compatibile con l’avvelenamento da PCB.
Inoltre, accertamenti farmaco-genetici condotti sul farmaco prescritto dal medico curante, hanno dimostrato come l’uso erroneo dello stesso possa causare gravi effetti collaterali, quali l’arresto cardiaco e l’edema polmonare. Danni accertati dalla stessa autopsia a cui fu sottoposto l’Attanasio.
In attesa dell’esito della richiesta di revisione del processo, presentata dagli avvocati Baldassare Lauria e Pardo Cellini, una domanda sorge spontanea: sono sufficienti gli indizi, la professione che svolge una persona e la sua condotta morale, a dare certezze tali da emettere un giudizio di colpevolezza (con una condanna all’ergastolo) “al di là di ogni ragionevole dubbio”?
Secondo la logica del movente, la relazione extraconiugale, il 45% degli italiani nel caso di morte del partner potrebbero essere giudicati in virtù della loro condotta morale. Infatti, il 45% degli italiani avrebbe confessato il tradimento (dati raccolti qualche hanno fa dall’Istituto francese di opinione pubblica). Oltre i “rei confessi di tradimento”, quanti sono coloro i quali non hanno mai confessato? Beh, alla maggior parte degli italiani non rimane che augurarsi che al partner non accada mai nulla…
L’Italia è da sempre indicata come la culla del diritto, il lettino nel quale il bambino dorme beatamente. Che sia questo il senso di “culla del diritto”?
Gian J. Morici