RICORDI E COMMENTI DI UNO CHE C’ERA
In questi giorni in cui sono inchiodato avanti ad una televisione in cui i servizi di carattere storiografico sono probabilmente il meno peggio, vado spesso con la mia memoria, ottima soprattutto per i fatti lontanissimi nel tempo, alla data che io considero sempre ancora tra quelle fondamentali della mia vita personale oltre che di cittadino del Regno e poi della Repubblica Italiana. Il 25 luglio 1943. Estromissione di Benito Mussolini dal Governo e caduta del Fascismo.
Ricordo che venne mio Padre a casa. Mia Madre gli andò ad aprire la porta e Lui l’abbracciò gridando: “Come un cameriere, come uno stalliere”. E poi spiegò che il Re aveva cacciato Mussolini da Capo del Governo sostituendolo con Badoglio. “C’ha messo vent’anni a disfare quello che non doveva fare allora”. Poche battute di mio Padre e grandi espressioni di contentezza. Ero in casa a Tolfa con mia Zia Ida e mia Nonna Peppina (materne), sfollate anch’esse da Civitavecchia dove mi ero beccato il bombardamento del 14 maggio. Giorno per noi il 26 luglio di festa dunque per quella straordinaria notizia. Festa, da noi in famiglia, essendo il 26 luglio Sant’Anna, nome di mia Madre. Era questa, non so perché, l’unica delle ricorrenze per onomastici e compleanni che si festeggiasse.
Mio Padre, aveva già invitato a casa nostra per il pomeriggio del 26 a consumare qualche dolcetto casareccio alcuni dei suoi colleghi della Cassa di Risparmio di Civitavecchia, pure sfollati in Tolfa. Quella ricorrenza, usualmente oggetto di gioia familiare, in quell’anno fu fatta oggetto di gioia che si aggiungeva per noi, non so se pure per i nostri ospiti, quella che già sembrava una liberazione. La fine di una tragica pagliacciata. Che non era, in verità, affatto finita. Anche se oramai versava in tragedia.
Mia Sorella si diede un gran da fare con un fagotto di pezze di colore e straccetti vari conservati in casa per fare coccarde tricolori.
Mio Padre, io stesso, Mia Sorella e mia Madre, ce le appuntammo in petto, uscimmo per le strade del paese zeppo di paesani e di sfollati e quasi tutti con aria stranamente festaiola, ci guardavano, molti si congratularono come se Mussolini lo avessimo cacciato noi. Qualcuno storse la bocca: si vedeva da lontano, che quello che per noi era un momento di felicità, per lui era la fine di un mondo da cui erano fondati il dubbio ed il dissenso.
Non che, anche per noi, mancassero dubbi ed incertezze.
Possibile, che nessuno al Gran Consiglio e altrove, abbia voluto mettere sul piatto della bilancia la reazione tedesca sia al cambiamento di regime, sia al motivo di essa?
Non ho mai fatto uno studio vero e proprio del “25 luglio”. Ne ho letto, ascoltato e sentito la storia in versioni diverse in cui si accavallano le tesi delle varie “congiure” che si erano andate profilando e gonfiando contro un regime fascista oramai ridicolizzato dal precipizio in cui era caduto nelle sue ricerche dei sentieri della gloria, trovando un’oramai certa ed assai vergognosa sconfitta.
Non starò qui a dire cosa ne penso e cosa ne pensai allora. Una cosa però ricorre in tutti i commenti, racconti, tentativi di razionalizzare fatti e circostanze anche con il senno di poi.
Perché Mussolini convocò il Gran Consiglio del Fascismo? E perché nulla fece perché prendesse decisioni diverse?
Perché mise all’ordine del giorno la votazione di un documento che chiaramente lo mandava a casa (o altrove). E, poi, perché quel tradimento anche da parte di suo genero, Galeazzo Ciano? Si parla di diversi filoni della preparazione della defenestrazione di Mussolini. Quello che accadde non era privo di ragioni né imprevedibile. I maneggi della Real Casa, di ambienti militari ed anche quelli di fascisti estremisti che avrebbero voluto cominciare subito con i plotoni di esecuzione e le forche sulle piazze ai più che contro i cittadini di ogni tendenza “rei” in effetti di essersi fatti portare proprio alla sconfitta ed alla rovina. Essi in effetti volevano levarsi di dosso la loro colpa. La tendenza quasi naturale al “tradimento” nei confronti proprio degli uomini più potenti non mancò. Io però ho avuto sempre una impressione che, qualcuno riterrà strano potersi essere maturata nella testa di quello che allora era un adolescente che a “tradire”, in quella serata a Palazzo Venezia non furono i gerarchi in danno del loro “Duce”. Fu invece proprio il “Duce” a tradire i gerarchi per farsene uno “scudo” nei confronti della catastrofe. E non solo davanti alla storia, che non si inganna, ma davanti al “suo collega e padrone”, di fronte ad Hitler cui già aveva dovuto inchinarsi fin dalle prime batoste prese nei primi mesi di guerra.
C’era un fratello di mio Padre, lo Zio Evandro, (in realtà si chiamava Giulio, ma tutti lo chiamavano col secondo nome), Ufficiale di carriera. Era Colonnello di Stato Maggiore. Dopo una lunga permanenza all’Ufficio Ordinamento dell’Esercito, aveva fatto un “periodo di comando” nel reggimento di artiglieria di una divisione di stanza nella Provenza occupata. Proprio in quei giorni, o poco prima, era stato però trasferito al comando dell’artiglieria della divisione Ariete in ricostituzione nei pressi di Roma. Si riuscì a metterlo in comunicazione con mio Padre che andò così ad incontrarlo. Non gli fece rivelazioni di segreti, ma qualcosa allora inimmaginabile lo disse: “Mussolini, che era Comandante Supremo delle Forze Italiane in guerra era ossessionato dalla paura al pensiero della sorte che avrebbe potuto riservargli Hitler”. E ciò era noto in molti ambienti militari. Questa impressione, peraltro di persona che aveva qualche possibilità di vedere cose e situazioni a tutti tenuti ben riservati, corrisponde alla storia penosa dell’atteggiamento di Mussolini all’incontro con Hitler a Feltre, avvenuto proprio il giorno in cui Roma veniva duramente bombardata. Era partito da Roma dicendo che avrebbe imposto al Fuhrer di concedergli gli aiuti necessari per rovesciare le sorti della guerra nel Mediterraneo (!!??). Lo sbarco in Sicilia era avvenuto il 10 luglio. Tornò a Roma invece con una ridicola dichiarazione di “piena identità di vedute” e qualcuno, anche in quella circostanza, diede la spiegazione con la paura fisica che il Fuhrer, dall’inizio della guerra, instillava in Mussolini.
Insomma, il vero traditore fu Mussolini che gettò in pasto al suo feroce amico ed alleato, anche il suo Genero, Galeazzo. Un tradimento che finì in quella mattina di gennaio del 1944 nel poligono di tiro di Verona.
Certo, questo è più facile concepirlo e sostenerlo col senno di poi. E tuttavia non sembra che anche oggi qualcuno abbia voluto dar corpo e dimostrazione storiografica di questo piano vergognoso oltre che vile dell’ex Duce.
Mussolini era sicuramente un uomo con doti intellettuali e “teatrali” notevoli. Molti dicono che non era un perfido traditore, un uomo veramente intrito di violenza e di tradimento.
Non sarò certamente io a cambiare le opinioni storiche su un personaggio che ebbe quel ruolo e fece quella fine. Ho sempre però, fin da ragazzetto, considerato Mussolini essenzialmente un buffone. Opinione, del resto, anche di mio Padre, che rischiò per averla fatta trapelare troppo spesso, di finire al confino di Polizia.
Mussolini ha fatto la fine conforme a questa sua essenziale qualità. Buffone tronfio nelle molteplici divise di cui fece sfoggio, finì facendosi sorprendere mascherato da soldato tedesco. Soldato tedesco che, per non dover fornire altri elementi della sua identità ai Partigiani, si fece passare pure per ubriaco. A Piazzale Loreto in quell’orgia di violenza e di gioia per la Liberazione, si chiuse quella complicata operazione del 25 luglio di quasi due anni prima.
Parce sepulto. Ma quante vite e quante speranze, quante gioie di vivere troncate costò quell’essere buffone e simulatore di ferreo carattere di condottiero!
Mauro Mellini
25.05.2020