A lanciare l’ennesimo grido di allarme, sono gli operatori del 118, costretti a lavorare sulle ambulanze e soccorrere soggetti, che in più casi si sono poi rivelati positivi al virus, dotati di sola mascherina chirurgica e di camici non sempre idonei alle attività dei soccorritori.
Una situazione drammatica che ha già visto medici e infermieri che operano all’interno di ospedali – ma anche molti, troppi, medici di famiglia –allungare la lista dei contagiati e, purtroppo, quella dei decessi.
Un’altra categoria esposta e quasi ignorata, come fosse esente da rischi, è quella degli operatori del 118, quasi sempre i primi che entrano in contatto con i pazienti di Covid-19, a molti dei quali il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità riserva un trattamento tutt’altro che adeguato alla mansione che svolgono.
Secondo le indicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità, infatti, esclusi i casi in cui il fattore di rischio aumenta per intensità o durata del percorso dell’autombulanza con rianimatore, la protezione prevista, oltre guanti e camice, è l’uso della sola mascherina chirurgica. Misure che hanno già dato luogo a diverse proteste da parte di lavoratori che vedono così messa a rischio non soltanto la loro salute.
Una condizione questa, che riguarda l’intero paese. In Sicilia, dove c’è ancora l’incognita della possibile diffusione del virus a causa delle tante persone rientrate dal Nord Italia, e in particolare dalle regioni più colpite dall’epidemia, la situazione è ancora più drammatica.
Marco (il nome è di fantasia per proteggere l’identità del nostro interlocutore) è un operatore del 118 di Agrigento. Marco è sposato e ha figli. Inizia il turno, arriva la chiamata, si parte. Indossa camice guanti e mascherina. Quella mascherina chirurgica che sa già che servirà a ben poco se dovesse soccorrere un paziente affetto dal coronavirus. Sulla sua ambulanza non c’è rianimatore, lui e gli altri operatori le mascherine idonee, quelle classificate Ffp3 e Ffp2, possono soltanto sognarsele.
“La situazione qui da noi è veramente difficile. Per fortuna non si è verificato quello che è accaduto in altre regioni del Nord Italia, ma si è trattato soltanto di fortuna. Se il virus non fosse arrivato in ritardo rispetto altre regioni, qui non so cosa sarebbe successo. È già dura in condizioni normali, figurati in piena emergenza”
Perché dici che siamo stati fortunati?
“Perché quando c’è stato il rientro dei nostri concittadini dal Nord, era già in vigore il decreto che imponeva la distanza sociale e l’obbligo di stare in casa salvo che non ci fossero reali necessità di uscire. Questo forse ha impedito che il numero dei contagi crescesse in maniera esponenziale. Incrociamo le dita e speriamo che la gente continui a rispettare le misure che sono state adottate. Basterebbe ben poco per annullare tutti i sacrifici che sono stati fatti…”
Puoi dirmi qual è la situazione nel nostro territorio?
“Se ci atteniamo ai dati ufficiali, il numero dei positivi è abbastanza basso. Purtroppo temo che siano bassi anche il numero dei tamponi effettuati. Basta pensare a quanti si trovano in quarantena e a oggi, dopo diversi giorni, non è stato fatto alcun tampone. Un altro problema è quello dell’esito dei tamponi. Anche in questo caso passano diversi giorni visto che da noi mancano i reagenti. Succede quindi che dopo aver fatto un primo tampone, a distanza di giorni dall’inizio della quarantena, passa a volte più di una settimana prima di avere il risultato che dovrà poi essere confermato da un secondo esame. Diciamo quindi che il risultato spesso lo si ha a quarantena terminata, con tutte le conseguenze del caso. Se consideri inoltre che pur essendo stati a contatto con pazienti Covid dobbiamo continuare a lavorare, capirai come c’è il rischio che da soccorritori ci trasformiamo in veicolo del contagio. Una lussazione, un dolore addominale, ed ecco che magari inconsapevolmente, visto che non siamo sottoposti ad alcun controllo, stai portando in casa di altri questo maledetto virus… Purtroppo le persone non hanno ancora capito che le chiamate di soccorso, il recarsi presso le strutture sanitarie ecc, devono essere ridotte al minimo possibile, per evitare di esporsi a un contagio…””
Non siete seguiti da nessuno durante questo percorso?
“A un nostro operatore, dopo un contatto con paziente positivo, è stato fatto il primo tampone, risultato dubbio e quindi ripetuto. Dopo nove giorni dall’evento, è ancora in attesa dell’esito, mentre il resto della squadra – risultati negativi al primo tampone – ha ripreso subito servizio. Abbiamo la certezza che siano realmente negativi o sarebbe stato opportuno ripetere? Intanto l’azienda pone il lavoratore in ferie di ufficio, non sa dare direttive e risposte certe al dipendente il quale si ritrova solo e isolato senza sapere nulla”
Cosa significa un tampone risultato dubbio?
“Non chiedermi come o perché… non sono un medico o un analista, ma logica vorrebbe che i tamponi fossero positivi o negativi… Eppure, come avrai avuto modo di apprendere, a volte gli esiti sono “dubbi”. Mi chiedo se questo sia dovuto al tempo intercorso tra il prelievo, la consegna e l’esame, o ad altri motivi che possano dipendere da problemi organizzativi del sistema…non so dirti…”
Quindi, così stando le cose, gli operatori contaminati verrebbero lasciati in balia di sé stessi… Nel caso di una chiamata di soccorso per un paziente probabilmente infetto, non partite già con tutti gli accorgimenti idonei?
“E’ il dramma nel dramma… Spesso chi presenta i sintomi del coronavirus, per paura che non gli venga inviato il mezzo di soccorso, quando chiama indica una causa diversa… Ti ritrovi quindi ad operare senza tutti gli accorgimenti necessari alla tua protezione personale e a quella di chi successivamente dovrai soccorrere. Del resto, quando arrivi e il tuo paziente ha difficoltà respiratorie e rischia un arresto cardiaco, cosa fai? Non puoi lasciarlo morire… e ti ritrovi lì con la tua mascherina chirurgica che non servirà a nulla, costretto a operare a pochissima distanza dal paziente che continuerà a respirarti in faccia le particelle aeree, incluso il virus… L’azienda, l’unica cosa che fa, è quella di ricordarti di non lasciarti prendere dal panico e che rifiutare un’attività deve essere azione ben giustificata, pena commissione disciplinare e rischi connessi… A prescindere dalle disposizioni aziendali, è ovvio che non rifiuterei mai un soccorso, ma leggere una circolare indirizzata alla “famiglia” di noi operatori, mi manda in bestia… Che “famiglia” siamo quando ci mandano a lavorare come fossimo carne da macello, senza adeguate protezioni e senza che si tenga conto dei rischi ai quali ci espongono? Io con mio figlio non lo farei mai…”
E con la tua famiglia, quella vera, cosa succede?
“Quando torniamo a casa, quando mogli e figli ci si avvicinano, tutti noi credo che abbiamo paura per loro e istintivamente cerchiamo di allontanarli… Ovviamente è impossibile… Ci sono momenti che penso se dovesse accadere qualcosa a loro… ed è difficile trattenere le lacrime…”
La voce di Marco si fa un po’ più roca e capisco che è il momento di chiudere questa nostra conversazione telefonica. Nei prossimi giorni tornerò a sentirlo, così come altri suoi colleghi, per sapere come stanno andando le cose…
Medici e altri operatori sanitari, in tutta Italia sono truppe mandate al fronte, con poche armi e quasi senza alcuna protezione. Al Sud forse è anche peggio. Se qui dovesse verificarsi quello che è successo in altre regioni, i presupposti sembrano esserci tutti perché accada una carneficina.
Al Sud sarebbe peggio che nel resto d’Italia… e Agrigento, è il Sud del Sud…
Gian J. Morici
Stessa tragedia dei soccorritori e’vissuta da medici e infermieri su ambulanze 118 medicalizzate