Solo il maltempo, l’acqua alta a Venezia, le Acciaierie di Taranto che rischiano la chiusura con la conseguente nostra scomparsa dal mercato della produzione siderurgica, hanno scacciato e messo in seconda linea nei titoli dei giornali e nei discorsi dei mezzibusti televisivi la parola “manovra”. “Manovra” di bilancio, del linguaggio tecnico finanziario. Al quale, come al solito ben presto si è adattato il linguaggio di chi della materia niente o pochissimo capisce.
Ché, anzi, quelli che non ne capiscono e mai ne avevano inteso parlare sono quelli che ora, salvo effetti di un infernale protrarsi del maltempo, non aprono bocca se non schiaffando la parola “manovra” in ogni loro discorso.
Fino all’altro ieri di “manovra” parlavano al più solo gli esperti o pretesi tali di qualche sport.
Ma nella storia, cioè andando indietro per decenni e, magari, per secoli, “manovra” era parola che apparteneva al linguaggio militare.
Se ne parlava in tempo di guerra ma anche, e forse di più, in tempo di pace.
I reggimenti lasciavano le caserme nella città per “andare alle manovre”.
C’erano manovre piccole e grandi, con la partecipazione di singoli reparti e di intere guarnigioni e, ancor più in grande, c’erano, mi par bene ogni anno, le “grandi manovre”, cui, almeno in teoria, partecipava tutto il Regio Esercito. Interveniva Sua Maestà il Re, che si compiaceva dell’alto grado di preparazione e di efficienza di reparti e comandi. E con lui c’era il Principe Ereditario ed altri personaggi della Famiglia Reale: tutti generali anche se giovanissimi. Anche i giornali parlavano di quelle “manovre” nei titoli di prima pagina.
Diviso in due parti, gli Azzurri ed i Rossi, l’esercito si muoveva su e giù, per lo più nella zona subalpina o appenninica. Vinceva sempre il partito “Azzurro” (che non aveva nulla a che fare con Berlusconi o qualche altro personaggio del genere).
Poi, con il fascismo, alle “grandi manovre” interveniva il Duce, che, però ci restava poco, perché, si diceva, aveva troppo da fare altrove. Ma poi invece delle “manovre”, il fascismo diede all’esercito occasioni un po’ più realistiche per esercitarsi: in Africa, in Spagna. E poi la Guerra Mondiale, in cui “l’alto grado di efficienza e di preparazione”, constatato da S.M. il Re, si mostrò subito una pretesa più comica che altro.
Oltre le “manovre” con i reparti, i cavalli, la truppa etc., c’erano le “manovre con i quadri”, che gli ufficiali, specie quelli di grado più elevato, dovevano fare a tavolino, al comando di reparti di mera fantasia, su “posizioni” ed in fasi difensive ed offensive e “punti di penetrazione” immaginari.
E c’erano manovre di guarnigione, di divisione e di reggimento, cui partecipavano soprattutto i reparti rimasti fuori, perché lontani dal “teatro” delle “grandi manovre”.
Anche le manovre “locali” avevano la loro periodicità ed il loro ripetersi continuo.
Raccontava il Generale Eugenio De Rossi, uno dei più brillanti memorialisti militari italiani, che, mi pare nel Tavoliere di Puglia sempre sullo stesso terreno si tenevano manovre di grandi unità di stanza nella Regione. Terreno conosciuto a memoria da ufficiali invecchiati nei rispettivi gradi. Tenuti, ad esprimersi per iscritto nei loro ordini e rapporti.
Ora alla fine dell’800 gli ufficiali del Regio Esercito Italiano non eccellevano per sapienza e pratica di carte topografiche e altri strumenti tecnici. Niente paura. Poiché le “manovre” per la Puglia si svolgevano sempre negli stessi luoghi, su un vasto piano adatto alle evoluzioni, privo di riferimento che non fosse un colossale albero che troneggiava in un piano pressochè deserto, quei condottieri che male se la cavano con le carte topografiche, le bussole etc. avevano preso l’abitudine di redigere ordini e rapporti con riferimenti a quell’albero; “l’albero noto”. “A destra dell’albero noto”, “a sinistra dell’albero noto”, “ad un chilometro dall’albero noto”.
Avvenne però che in una notte precedente la giornata di chiusura delle manovre cui avrebbe dovuto assistere anche il Principe Ereditario, alcuni buontemponi seppero recidere l’”albero noto”, facendone scomparire ogni traccia.
Il giorno seguente, senza l’”albero noto” reggimenti e battaglioni non si seppe più come farli muovere senza provocare un incredibile pasticcio. Il Principe Ereditario fu fatto allontanare con non so quale scusa e qualche ufficiale ci rimise le prospettive di carriera.
Non so quale albero potrebbe essere tagliato per far perdere la bussola ai nostri “manovratori” politici anch’essi assai poco capaci di cavarsela con le carte e gli strumenti scientifici.
Ma ciò, in fondo, è una considerazione ottimistica: non può perdere l’orientamento a causa di un albero segato o di un altro scherzo del genere chi l’orientamento pare non l’abbia e non l’abbia mai avuto.
Tanto nessun principe ereditario si cura di assistere a queste “manovre”.
E non c’è verso che si perda un’occasione per sentirsi dichiarare che c’è da compiacersi per la preparazione e l’efficienza di questi manovratori.
Mauro Mellini
18.11.2019