Ringrazio la Signora Patrizia Salvati per l’esortazione, nella quale mi è sembrato di sentire anche un filo di perplessità sul mio silenzio tenuto finora in proposito, a dire qualcosa sulla questione della sovvenzione statale a Radio Radicale e sulle polemiche che oggi sono sorte per la proposta di sopprimerla.
Grazie soprattutto se è fondata la sensazione di stupore per il mio silenzio. Perché il dolore e lo sconcerto che la rievocazione di certe vicende mi procurano ancora oggi (…infandum regina jubes renovare dolorem…) non mi esonera dal dovere di non sottrarmi alla testimonianza di quel po’ di storia di cui sono stato partecipe o testimone.
Fui tra i primi che ebbero occasione di far sentire la voce del Partito Radicale attraverso quella minuscola emittente, che aveva sede in un paio di stanze fuori delle Mura Vaticane.
Quando si concertò la sovvenzione per quello che veniva definito un “servizio pubblico”, cioè la trasmissione delle sedute nelle aule delle Camere del Parlamento, io non fui interpellato da nessuno e nessuno si preoccupò di sapere che cosa ne pensassi. Era in atto quella emarginazione che portò alla mia vera e propria espulsione dal Partito Radicale.
Ebbi il torto (e non solo quello) di tenere per me l’assurdità di quel c.d. servizio pubblico e la falsità di quella remunerazione per uno strumento mediatico di partito e di parte e non solo di nome.
In verità mi meravigliai assai che non insorgessero altri partiti, altre emittenti.
Ci volle del tempo per rendermi conto che quella sovvenzione era la contropartita, anzi, almeno parte del prezzo, diciamo una mancia, pagata al Partito Radicale perché si togliesse di mezzo. E ciò avveniva anche mentre la stessa Radio si definiva “Organo della lista Bonino”.
Radio Radicale, grazie al buon senso di molti suoi operatori, continuò a svolgere anche un’ottima funzione culturale. Meno, molto meno, buona e coerente, necessariamente, la funzione politica.
Per parlar chiaro: con quella sovvenzione e quella funzione, vera o no, di “servizio pubblico”, si attuava, prima ancora di proclamarla, quell’assurdità del “partito transpartitico” cioè si cominciava a smantellare il nostro, il mio, il vostro Partito. Se ne faceva un pulpito, un palcoscenico per le prediche di Marco Pannella, come tale assai più funzionale e coerente.
Questi convincimenti non li realizzai subito. C’è un limite, oltre che alle assurdità umane, anche alla loro comprensibilità.
Dire oggi che quella sovvenzione fu il prezzo non di Radio Radicale, ma del Partito Radicale, del suo togliere l’incomodo, è certo, assai meno difficile che pensarlo e poterlo dire (e farsi comprendere) allora.
Quanto all’atteggiamento delle controparti, cioè di tutta le maggioranze e minoranze che per decenni si sono succedute beneficiando della assenza, attraverso l’espediente della sua “transpartiticità” del Partito Radicale, di fatto soppresso, è forse meno difficile capirlo.
Nel fare i propri interessi la fantasia degli uomini (e delle donne) è assai più potente.
Non mi pare d’avere altro da dire sul pasticcio d’allora, sul fatto in sé e per quello che significò e comportò. Mi è costato anche oggi assai, farvi cenno ed uscire dal silenzio.
Né ho alcuna voglia di mettere bocca sulle polemiche che oggi, si fanno sulla soppressione della c.d. sovvenzione, come pure su controversie ereditarie o meno, che, da allora sono seguite.
A tutti i redattori di Radio Radicale, a prescindere da quanto sono stato portato a dire, esprimo un giudizio più che positivo sul loro lavoro e faccio loro personalmente i miei migliori auguri.
Mauro Mellini
04.11.2019