Il politically correct, o “politicamente corretto” o PC, è un orientamento ideologico e culturale che mira a evitare ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone, soprattutto minoranze.
L’approfondimento settimanale del sito Pro\Versi si pone nel solco del dibattito animato da un lato da chi vede il cambiamento di consuetudini linguistiche e di usi ritenuti offensivi come un grande passo verso ideali di uguaglianza e verso il rifiuto di pregiudizi, dall’altro da chi sottolinea che esso interviene sulla forma piuttosto che sulla sostanza dei problemi. Per questi ultimi, tale operazione di facciata contribuirebbe ad alimentare una sorta di ipocrisia istituzionale che spesso sfocia nello smantellamento della Storia, della Scienza e della Letteratura, nella censura nei confronti del diritto di espressione e in una sorta di manipolazione del pensiero da parte del potere, che renderebbero estremamente difficoltoso lo scambio culturale.
I favorevoli al politically correct, sostengono che le battaglie condotte in nome del “politicamente scorretto” mirano solo a legittimare più o meno esplicitamente ogni scorrettezza possibile. Un fenomeno che si individua negli USA, in Europa e Asia, con il dilagare dell’inclinazione a violare le regole, a non rispettare norme e comportamenti un tempo condivisi. A cavalcare l’onda dell’attacco alla correttezza politica sono perlopiù partiti e movimenti populisti, che alimentano razzismo, xenofobia, etnocentrismo ed egoismo.
Basterebbe un’attenta riflessione critica volta a migliorare il PC, conservandone cioè i principi fondamentali (la difesa delle minoranze e il rispetto per le differenze) stabilizzandosi in un “nuovo” politically correct, limitato all’eliminazione dai termini realmente negativi.
Secondo i più critici del PC – come l’antropologa Ida Magli – esso è un’evoluzione della censura, un lavaggio del cervello che il potere (i governi) impone ai sudditi, visto l’automatismo della corrispondenza pensiero-linguaggio. Il PC falsifica la Storia e i rapporti fra i popoli, cancellando le possibilità di scambio culturale reciproco. In tutto il mondo i governi tendono a un’omogeneizzazione culturale e linguistica che distrugge ogni differenza, ricordo e memoria storica.
Il fatto di respingere ogni termine o concetto considerati discriminatori, offensivi, espressioni di concezioni gerarchiche e di valori forti per imporre un’idea di rispetto, nasconde in realtà il più totale indifferentismo, nel quale la verità politica è decisa dalle élite che dettano le linee guida alle società. Il PC costituirebbe così una minaccia per la libertà d’espressione, in quanto rigido, dottrinario, censorio, quindi letale per la mente, per la fantasia, per la lingua e per la capacità di visione.
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