È stata sentita il 14 febbraio, presso il Tribunale di Agrigento, dinanzi alla Giudice Infantino, Maria Merdassi, teste della Procura nel processo che vede imputato l’agrigentino Giovanni Rocca, per maltrattamenti in famiglia e lesioni personali, aggravate dall’essere state commesse per eseguire un altro reato, in danno della moglie Fatma Amdouni.
La Merdassi, era stata chiamata a testimoniare sulle condizioni di vita della coppia e sulle numerose e reiterate condotte con le quali l’uomo – secondo il Pubblico Ministero che ne ha chiesto il rinvio a giudizio – sottoponeva la moglie a maltrattamenti di natura fisica e psicologica tali da cagionarle penose condizioni di vita, offendendola con espressioni volgari e ingiuriose, nonché minacce, e percosse che avrebbero causato lesioni personali consistite in trauma policontuso con trauma cranico facciale.
Prima che iniziasse l’udienza, il Pubblico Ministero si accorgeva che la Merdassi, insieme a un suo parente, era intenta a discutere in aula con l’imputato, motivo per cui la richiamava facendola allontanare dal Rocca.
È bene infatti ricordare che il testimone, nel caso in cui siano escussi altri testi, a garanzia della genuinità della sua deposizione, non può entrare nell’aula prima che debba essere sentito. A maggior ragione, dunque, non dovrebbe avere contatti con le parti in causa.
Dopo aver recitato la formula di rito, la teste dichiarava al PM di conoscere la Amdouni in quanto erano stati amici. Successivamente, su richiesta dell’avvocato Serena Gramaglia, difensore dell’imputato, collocava temporalmente tale conoscenza tra il 2011 o 2012, precisando di conoscere il Rocca, di aver vissuto in casa dei due coniugi per circa un anno e descrivendo i rapporti tra la coppia come inizialmente “perfetti”.
Un difetto di memoria quello della Merdassi, visto che il 3 novembre 2012, presso la locale Questura, un’altra teste – che ha già deposto nel corso del processo – era stata sentita come persona informata dei fatti e aveva narrato di una lite tra i due coniugi a seguito della quale era dovuta intervenire la polizia. La stessa teste, dichiarava inoltre che la Amdouni in quella circostanza era agitata e le riferiva di aver subito un’aggressione da parte del marito, aggiungendo “Fatma mi riferiva che poco prima era stata picchiata dal marito e portandomi all’interno della sua casa, mi faceva notare un martello appoggiato sulla libreria riferendomi che poco prima lo stesso (Giovanni Rocca -ndr) l’aveva colpita con il predetto martello alla testa. Mi riferiva altresì, che il di lei marito tale Rocca Giovanni, afferrandola per i capelli la sbatteva, più volte, contro la libreria e contemporaneamente la colpiva con le mani al viso”.
Una descrizione del rapporto di coppia ben diversa da quella rassegnata dalla Merdassi che, facendo riferimento ai litigi tra i due, riferiva di modi “normali”, salvo poi dichiarare che anche in sua presenza i coniugi si insultavano usando espressioni poco felici. A seguito di precisa richiesta da parte del PM, facendo notevole sforzo di memoria, raccontava di come un giorno, mentre si trovava in vacanza all’estero, aveva ricevuto una telefonata dalla Amdouni che le aveva raccontato di trovarsi in ospedale a seguito di percosse da parte del marito.
In merito alle ragioni della separazioni, la Merdassi – così come per altri aspetti che riguardavano le dinamiche interne alla coppia – riferiva di essere amica di entrambi e di non voler “entrare nelle cose tra di loro” e solo su insistenza del PM, ammetteva di essere venuta a conoscenza di denunce presentate dalla moglie nei confronti del marito, tornando a ribadire di voler rimanere estranea alle vicende tra i due e che comunque non ricordava nulla in merito alle ragioni delle suddette denunce.
Il difensore della parte civile – in sostituzione dell’avvocatessa Ganci al momento assente – chiedeva alla teste se durante il periodo in cui aveva vissuto con la coppia avesse assistito ad interventi da parte delle forze dell’ordine.
La Merdassi, narrava quindi di un intervento, poiché uno dei due (non ricordando con certezza chi) aveva scaraventato la televisione fuori dal balcone e qualcuno aveva chiamato i carabinieri.
A un’ulteriore domanda da parte dell’avvocato di parte civile, rispondeva di aver lavorato con la Amdouni recandosi a fare pulizie presso terzi, con la propria autovettura, salvo poi, incalzata dalle domande del difensore della Amdouni, ammettere che effettivamente, poiché le era scaduta l’assicurazione dell’auto, successivamente a quel primo periodo, le due donne si recavano a lavorare in autobus o a piedi. Come dichiarato dalla Amdouni in altre circostanze, la stessa per recarsi a lavorare era costretta a percorrere a piedi anche diversi chilometri vista la distanza dal luogo di lavoro dalla propria abitazione, mentre il marito, pensionato e automunito, rimaneva in casa, in attesa che la moglie portasse il denaro dalla stessa guadagnato o provvedesse a comprare quanto necessario al nucleo familiare.
Si registrava dunque un ulteriore intervento del sostituto dell’avvocatessa Ganci, il quale chiedeva se la teste fosse a conoscenza del fatto che il Rocca pretendesse soldi alla moglie, suscitando le lamentele del legale della controparte, avvocatessa Serena Gramaglia, che riteneva la domanda suggestiva. La Merdassi comunque dichiarava che entrambi i coniugi si collaboravano nel sostenere le spese del nucleo familiare.
Una situazione ben diversa da quella illustrata dallo stesso Rocca nel corso della causa di separazione tra i due coniugi in Corte d’Appello, quando l’uomo otteneva sentenza favorevole nel non corrispondere l’assegno di mantenimento all’ex moglie, visto che a causa delle proprie possibilità economiche non avrebbe potuto assolutamente permettersi di contribuire in alcun modo alle necessità economiche della consorte, che godeva di un’apprezzabile capacità economica e lavorativa, senza la quale sarebbe stata persino messa in dubbio la possibilità della coppia, durante il matrimonio, di alimentarsi regolarmente nel corso di tutto il mese.
Non sfuggiva all’avvocato di parte civile, venuto a conoscenza dell’incontro e della conversazione in aula tra la teste e l’imputato, di porre la domanda su cosa si fossero detti, suscitando un’ulteriore reazione da parte dell’avvocato difensore dell’imputato, quasi che fosse un fatto normale che in un’aula giudiziaria un teste della Procura e un imputato potessero conversare tra loro al riparo di orecchie indiscrete, prima che il testimone sia chiamato a deporre dinanzi al Giudice.
All’esame dell’avvocatessa Gramaglia, rispondendo in merito alla lite avvenuta nell’agosto 2012, quando “qualcuno” scaraventò dal balcone un televisore e dovettero intervenire i carabinieri, la Merdassi ha raccontato che lei insieme la Amdouni volevano vedere un film, mentre il marito voleva guardare un altro programma. Da lì la lite. Poi ricorda che la Amdouni ha preso il computer e lo ha buttato. “Forse Giovanni (Rocca) ha preso la televisione e l’ha buttata – dichiara la Merdassi – e poi Fatma (Amdouni) ha preso il computer e l’ha buttato…”
Una deposizione lacunosa, ricca di non so, non ricordo, e altro ancora. Come affermato dalla stessa teste – invitata più volte dal Pubblico Ministero a dire quanto di sua conoscenza – “io ero amica con tutti e due… non voglio entrare nei problemi di loro…”
Intanto, dal dibattimento in aula, vengono fuori altri particolari. Messaggi che si troverebbero nel fascicolo del Pubblico Ministero, una pistola della quale la teste dichiara di aver solo sentito parlare, il nome di un altro testimone che – conosciuto dalla Merdassi – avrebbe dovuto deporre come teste della difesa dell’imputato. Un testimone, al quale la difesa del Rocca ha rinunciato…
La prossima udienza è stata fissata per il giorno 6 del mese di giugno. Un’udienza che potrebbe riservare nuove sorprese utili a chiarire cosa accadde in quegli anni di convivenza della coppia e le tante contraddizioni che emergono dai due diversi procedimenti – civile e penale – dalle reiterate denunce e atti documentali, nonché dalle prove testimoniali ad oggi raccolte.
Gjm
Il testimone è lo strumento più importante del processo penale. È il mezzo attraverso il quale le parti ( PM, difesa e parte civile) possono ricostruire per il Giudice l’accadimento dei fatti. Ogni cittadino può essere citato quale testimone in un processo penale e nel momento in cui il Giudice autorizza le parti alla citazione, il chiamato ha il dovere giuridico e morale di presentarsi per rendere la sua testimonianza e di riferire solo ed esclusivamente il vero. Personalmente leggendo l’articolo ho qualche perplessità. Come mai la Sig.ra chiamata a testimoniare dal PM ha avvertito la necessità di parlare con l’imputato? Sono certa che l’aver rilevato l’episodio in udienza da parte del PM e dell’Avvocato della parte civile consentirà di prestare tutta la necessaria attenzione al caso.
Avendo la teste riferito più volte nel corso dell’esame di non voler entrare nel merito delle vicende – poichè amica di entrambi i coniugi – ribadendolo più volte, a tal punto da costringere il PM a dire di aver capito che non intendeva parlare ma che DOVEVA dire comunque la verità, le dichiarazioni incomplete, potrebbero portare ad inficiare la sua testimonianza per reticenza, sempre che non siano pure contrastanti con eventuali prove già acquisite. In tal caso, ritengo che la parte civile, oltre a rassegnarne al Giudice, possa agire facendo valere i propri diritti nelle sedi opportune.
L’episodio avvenuto in aula e rilevato tanto dal PM quanto dall’Avvocato di parte civile che ne ha chiesto spiegazioni alla teste, unitamente a quanto succitato, ritengo meritino attenzione e nell’ipotesi si ravvisassero indizi di reato, informarne il Pubblico Ministero perché proceda di conseguenza.
Gjm