Una mafia a lungo ignorata, quella di cui si è parlato oggi nel programma “Inviato Speciale”, su Radio1. Un’inchiesta condotta dalla giornalista Rita Pedditzi. Storie di terreni, società, fondi statali ed europei, utilizzati per far arricchire le famiglie di mafia, correndo meno rischi di quanti non avrebbero corso con le attività criminali tradizionali.
Una storia conosciuta da molti e da molti volutamente ignorata – come dichiara il presidente dell’Ente Parco Giuseppe Antoci, al microfono della Pedditzi – talvolta per paura, talvolta per connivenze. Paure e connivenze che hanno permesso ai clan mafiosi di accumulare patrimoni di diversi milioni di euro, soffocando l’imprenditoria sana, quella fatta da persone oneste costrette a subire intimidazioni e vessazioni, fin quando, come spesso accade, soltanto grazie al coraggio di pochi uomini, viene messo un freno alle mire dei clan.
Diventa una forma di arricchimento parassitario, perché questi finanziamenti vengono destinati ad un arricchimento senza una contemporanea promozione effettiva dell’attività dell’agricoltura e della pastorizia – dichiara il procuratore di Caltanissetta, Amedeo Bertone, riferendosi ai finanziamenti che andavano ad arricchire i conti delle famiglie di mafia.
“Una mafia parassita, come dice il procuratore di Caltanissetta – continua la Pedditzi – Una mafia antica che giace sui Nebrodi, il polmone verde più grande della Sicilia, e che da quelle cime inaccessibili ha individuato un nuovo filone d’oro: il business dei pascoli! È ormai certificato da numerose inchieste e operazioni antimafia che per anni ha detenuto il monopolio dei terreni agricoli pubblici amministrando ettari e relativi milioni di euro che derivavano da fondi europei”.
Ad illustrare il fenomeno legato alla cosiddetta agromafia – dai microfoni di Radio1 – il sostituto procuratore della direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta, Pasquale Pacifico, che spiega come lo stesso presuppone lo sfruttamento da parte di soggetti contigui o intranei a “cosa nostra” e di come grazie a questi personaggi, i terreni pubblici in concessione, o attraverso contratti con la pubblica amministrazione, vengono utilizzati per ottenere attraverso il meccanismo dei titoli i contributi comunitari. Contributi nati per uno scopo ben diverso, che finiscono in qualche modo per sovvenzionare la criminalità organizzata siciliana.
A chiudere il cerchio, con l’ennesimo colpo alla criminalità organizzata – spiega la giornalista – i 15 arresti dello scorso 19 novembre. Al centro dell’inchiesta un bando del 2015, per l’assegnazione di 16 lotti di terreni destinati al pascolo. Una gara completamente appannaggio – secondo il quadro accusatorio – di tre famiglie legate alle cosche mafiose, che si dividevano il controllo di quella fetta di territorio attraverso il potere intimidatorio derivante dalla propria appartenenza al sodalizio criminale, impedendo così l’accesso alle gare alle imprese in regola.
Ad accompagnare la giornalista in questo suo viaggio-inchiesta, Tiziana Bonina, di Sant’Agata di Militello, uno dei comuni in provincia di Messina, che proprio il giorno in cui scattava l’operazione Nebros2, che portava ai quindici arresti, discuteva la sua tesi di laurea in giurisprudenza sulla mafia dei pascoli. Con lei, la Pedditzi sale in macchina verso i Nebrodi, il cui parco interessa 24 comuni, diciannove in provincia di Messina, tre in provincia di Catania e due in provincia di Enna.
Questa è la ricchezza dei monti Nebrodi che si estendono da Cefalù fino a capoluogo peloritano, toccando tre province e arrivando fino quasi all’Etna – afferma Tiziana, mentre viaggiano in direzione di San Fratello. Un viaggio attraverso una vegetazione ricchissima. “Abbiamo diverse zone di pascolo, ci sono gli uliveti ma di fronte a noi abbiamo il mare. Questa è la ricchezza – prosegue Tiziana – il passare dalla quota di 25 metri di altitudine sul livello del mare di Sant’Agata Militello, il comune più basso del parco dei Nebrodi, per arrivare a San Fratello, a circa 1000 metri di altitudine. Il territorio dei Nebrodi è ricco anche di una fauna importante. Nel territorio di Alcara Li Fusi abbiamo le aquile reali, nei comuni montani abbiamo il famosissimo suino nero dei Nebrodi, una carne pregiata. Abbiamo il cavallo sanfratellano, una razza equina molto importante e molto conosciuta. Abbiamo tanta ricchezza… la ricchezza, come si sa, diventa appetibile a tanti… I pascoli erano prima devoluti all’attività lavorativa di famiglie che si mettevano in cooperative e utilizzavano i territori dei comuni. Con il tempo però l’allevamento è divenuto di pertinenza di oligarchia di allevatori…”
C’è amarezza nella voce di Tiziana Bonina, mentre illustra alla giornalista le ricchezze di un territorio che ama e che vede minacciato dagli interessi mafiosi.
“A far saltare il lucroso business dei contributi europei per i terreni da pascolo, che fa gola alle cosche, è stato Giuseppe Antoci, l’ex presidente del parco dei Nebrodi, finito nel mirino di un fallito attentato nel maggio del 2016, con il protocollo di legalità che dallo scorso maggio è diventato legge – prosegue la Pedditzi – Prima di allora per avere un terreno adibito a pascolo bastava una specie di autocertificazione. Antoci invece ha introdotto delle regole stringenti”.
Antoci: “Il metodo che usavano le mafie per accaparrarsi i fondi europei per l’agricoltura, era un metodo conosciuto da anni ed era un metodo contro il quale, purtroppo, lo Stato non ha fatto muro. In parte per connivenza in parte per paura in parte per conoscenza tecnica dell’argomento.
Abbiamo creato questo protocollo della legalità abbassando la soglia del autocertificazione antimafia a zero. È una norma che non lascia scampo alle mafie, perché è una norma che non consente più a capimafia di spessore, e non solo, di accaparrarsi dei fondi che l’Europa metteva a disposizione per gli agricoltori onesti, gli allevatori onesti ,per i giovani che volevano farsi un futuro in uno dei settori trainanti del paese.
E intanto quei fondi erano “cosa loro”, erano nelle mani dei capi mafia… è stato un capitolo complicato, a tratti è vergognoso, perché era fatto di intimidazioni di vessazioni… agricoltori e allevatori umiliati da atteggiamenti estorsivi che li obbligavano a cedere i terreni… e comunque a non partecipare ai bandi pubblici per l’affido degli stessi, perché da quelli nascevano attraverso più truffe, attraverso i bandi europei, milioni e milioni di euro…”
Milioni e milioni di euro – come ribadisce la giornalista – poichè un solo capo di bestiame, per l’Unione Europea, Vale fino a €202… e nei Nebrodi pascolano ufficialmente 53.000 bovini e 150.000 ovini. Una pioggia di denaro che arrivava a nomi di spicco della mafia con un metodo oliato da anni.
Ancora Giuseppe Antoci: “Gaetano Riina, fratello di Totò, le famiglie Santapaola ed Ercolano, più quelle di ‘ndrangheta di camorra, partecipavano ai bandi pubblici per l’affitto di terreni. Loro creavano le società, oppure, ce l’avevano già e mettevano dentro 4 o 5 nomi di mafiosi di importante caratura. Il primo effetto era quello che le persone perbene, gli agricoltori perbene, non partecipavano ai bandi perché avevano paura”
È sempre Antoci a illustrare come dai bandi mono-partecipati, con incrementi a base d’asta di €1, venivano aggiudicati i terreni e l’affitto di terreni sui quali venivano fatte le richieste di fondi europei per l’agricoltura su più misure, realizzando delle truffe. Com’è possibile che un mafioso anche di calibro importante poteva accedere a un bando pubblico e addirittura drenare fondi pubblici? È molto semplice. Utilizzavano la legge sugli appalti che obbligava la certificazione antimafia per importi a base d’asta superiore a €150.000. Sotto questa soglia bastava l’autocertificazione e quindi anche capimafia e mafiosi in generale, erano a posto con i certificati antimafia anche quando ovviamente non lo erano. Il bando veniva aggiudicato con questa autocertificazione e questo gli permetteva di usufruire di fondi pubblici.
Un sistema che ha funzionato fin quando con il protocollo della legalità voluto da Antoci, e poi con la legge sul nuovo codice antimafia, la soglia delle autocertificazioni è stata portata a zero.
Rita Pedditzi: “Giuseppe Antoci, presidente del parco fino allo scorso febbraio ,vive una vita blindata…”
Antoci: “È chiaro che c’è sempre un prezzo da pagare… per un uomo perdere la propria libertà e quella della propria famiglia è un atto di violenza immane… è il prezzo che io sto pagando insieme a mia moglie e alle mie figlie. Un sistema di sicurezza elevatissimo, con la casa presidiata dall’esercito. La nostra non è più una vita normale, però se questo è servito a creare una normalità in questo paese che non ha bisogno né di simboli né di eroi, io spero che questo virus positivo (facendo riferimento al proprio operato, all’elevato senso di giustizia e di dovere) se dovesse rientrare nelle coscienze di ognuno e far capire che bisogna fare il proprio dovere ovunque, dove ognuno si trova, in qualsiasi contesto, in qualsiasi posto, forse questo paese sarebbe migliore e tanta gente come Giuseppe Antoci non perderebbe la libertà e non rischierebbe di finire ammazzata in un attentato…”
Parole che dovrebbero pesare come macigni sulle coscienze di quanti da anni facevano finta di non vedere, di non capire. “Sono rimasto vivo grazie alla Polizia di Stato, al Vicequestore Manganaro, alla mia scorta… Quella notte- riferendosi ai mafiosi – loro hanno dichiarato guerra a un pezzo del paese con me… Noi questa guerra la portiamo avanti, abbiamo vinto tante battaglie, però se cominciamo a passare il messaggio che bisogna fare il proprio dovere tante cose sarebbero state diverse e io forse oggi sarei un uomo libero. L’amarezza è quella di avere percepito in maniera chiara che bastava poco per accorgersi di tutto questo. Non era necessario che arrivasse Antoci per mettere lo Stato nelle condizioni di riprendersi un pezzo di dignità che aveva perso. L’amarezza è quella che forse qualcuno prima di me doveva farlo… L’amarezza è quella di avere vissuto quasi in una bolla dove ognuno si ritaglia un pezzettino di mancanza di responsabilità…”
Pedditzi: “Paura e connivenza… Quella scattata contro la mafia dei Nebrodi lo scorso novembre, è una delle prime operazioni dopo l’entrata in vigore del protocollo Antoci. Per superare la nuova procedura, molte richieste sarebbero state presentate dalle donne delle famiglie. Ci troviamo di fronte a una mafia antica che sa essere molto moderna…”
Prosegue intanto il viaggio con Tiziana, fino alle campagne di San Fratello, che si estendono in direzione della cima più alta dei monti Nebrodi. Su questo tratto di strada, il 18 maggio del 2016, la carreggiata ostruita da massi ha bloccato l’auto blindata del combattivo presidente del parco, che poi è stata investita da una scarica di fucilate.
Scese dalla macchina, tra la fitta vegetazione, un pascolo. Tiziana: Guarda che belle montagne che abbiamo qui e se ti affacci dall’altro lato c’è il mare… In alcune intercettazioni telefoniche si sente dire “Compare, non vale la pena fare le estorsioni perché con i fondi europei si vive alla grande senza rischi”… Questi sono paesi dove si vive ancora di agricoltura e allevamento. San Fratello… Cesarò… Una delle aree più importante dei Nebrodi è costituita dal parco dei Nebrodi, che è un area naturalistica di circa 86.000 ettari. La più grande Area Naturale Protetta di tutta la Sicilia, un posto privilegiato perché abbiamo tutto… Abbiamo l’acqua, le montagne e il mare… Siamo ricchi, dovremmo solamente avere la consapevolezza di questa ricchezza e capire che bisognerebbe sfruttarla al meglio per avere il meglio…”
Ascolti le parole di Tiziana, senti riecheggiare nella mente quelle di Giuseppe, le domande di Rita, e ti chiedi quali colpe hanno da espiare per essere nati in un Eden volutamente trasformato – nel silenzio di parte dello Stato – in un Inferno…
gjm
Le foto dei Nebrodi appartengono a Maria Izzo e sono utilizzate su licenza Creative Commons