da un racconto di Agostino Spataro
“…Terminata la cerimonia, si accompagnava con gli amici per quattro passi in piazza, dove si potevano ammirare le ragazze da marito alle quali carpire un sorriso, una guardatina d’assenso, inviare segnali d’amore. A Cocò non interessavano. Appariva distratto. Con la testa era altrove.
Altrove. Dove? E presto detto. Alle 15,10 era sul treno per Cartona, la città capoluogo, distante una mezz’ora dal paese. Dalla stazione il tragitto era sempre lo stesso. Dritto e un po’ guardingo, si dirigeva verso i quartieri bassi della città, verso il centro storico arabo-medievale, dove dieci secoli sembravano essere passati invano.
Mille anni rimasti qui, morti insepolti, ammassati, stratificati uno sopra l’altro.
Un tempo specchio della potenza e della ricchezza di Cartona, il centro storico era divenuto un luogo triste, vetusto, puzzolente perfino, dove si consumava la vita di un popolo emarginato, sconfitto dal progresso.
Stradine anguste, tortuose, segnate da cumuli d’immondizia stagionata sopra i quali giocavano bambini smunti, semivestiti; stracci appesi alle “cordine” come lacere bandiere di un esercito in disfatta. Simile a un grande corpo anemico, il centro storico ansimava come quei vecchi cavatori dalle membra sfatte e i polmoni corrosi dalla silicosi.
Quella distesa di case basse, di tufo, non importa se stemmate o plebee, sentiva vibrare dentro le viscere, fin dentro le ossa, la metastasi del cancro fatale. Ogni tanto qualcuno si svegliava dal letargo politico e/o intellettuale e prometteva la salvezza, il recupero del centro storico.
Impossibile, secondo il cavalier Comparetto, ex federale fascista e gaudente possidente di campagna, poiché la decadenza fisica, la morte sono ineluttabili.
Ieratico e strafottente, egli soleva dire che “le cose vecchie devono morire, come tutto muore in questo mondo: gli uomini, le bestie, le piante, i laghi, ecc. Anche le civiltà nascono, invecchiano e muoiono: dalla Mesopotamia all’Egitto, dalla Fenicia alla Grecia.
Grandiose civiltà spentesi come lampadine esaurite. Ora, tocca a noi, alla Magna Grecia ossia alla Sicilia, alla Calabria, alla Campania…che forse s’illudevano di sopravvivere al destino della madre Grecia.”
Se la storia di queste città dovesse essere rappresentata, raccontata da questi “centri storici” se ne dovrebbe trarre la conclusione che trattasi soltanto di storia d’indigenza, di miserie e di malanni.
Ma così non fu. Fu storia di alternanze, di atti eroici e infime viltà, di opulenza e di fame, di scienza e pestilenza, di feste e di pianti.
Oggi, dentro quel recinto di fetide mura, si svolge la storia della mercificazione della donna, degli affetti, di una dolorosa promiscuità.
Non c’è più alternanza. La storia va avanti a senso univoco.
Dolore e miseria nel ventre di Cartona che Cocò attraversava, frettoloso, noncurante di ciò che affiorava dagli stretti anditi.
Avanzava fra gli sguardi curiosi della gente, sotto filari di lenzuola bucate, tra nidiate di bambini smunti, vocianti, fino a raggiungere via della Locanda.
Da qui si entrava nella città del vizio, dell’amore venduto a prezzi stracciati. Ogni porta, una prostituta..” (a.s.)
(il resto qui: https://ilmulinovento.blogspot.com/…/lincompiuta-un-raccont…