Se era nelle intenzioni del legislatore incentivare il precariato, aumentare la disoccupazione e togliere al lavoratore quel briciolo di dignità che gli era rimasta in questo paese allo sconquasso e senza alcuna prospettiva, il decreto legge Dignità, voluto dal Movimento Cinque Stelle, rappresenta un capolavoro unico (per fortuna) nel suo genere.
Un primo intervento in questa direzione lo si era visto a seguito della “Riforma del Mercato del Lavoro 2012”, a opera della Fornero, Ministro del Lavoro dell’epoca, alla quale si deve l’impennata dei licenziamenti facili e illegittimi, completato con la Job Act di Renzi che ha avuto come conseguenza l’aumento del tasso di disoccupazione.
Ma l’opera summa del legislatore in materia di lavoro, dal titolo “DL Dignità”, la si deve all’attuale ministro dello sviluppo economico e ministro del lavoro e delle politiche sociali, Luigi Di Maio. A sollevare da ogni responsabilità altri, ci ha pensato lo stesso ministro quando dichiarò che il dl Dignità era “a prima legge non scritta dalle lobby”. Neppure le ”lobby”, in effetti, erano arrivate a tanto. A lanciare l’allarme che le aziende non rinnoveranno i contratti a termine in scadenza, portando oltre 50mila lavoratori ad andare ad ingrossare le fila dei disoccupati, sono state Assolavoro e Fermeccanica, analizzando il dato secondo il quale dal primo gennaio 2019 queste decine di migliaia di lavoratori non potranno avere un rinnovo di contratto perché avranno già raggiunto i 24 mesi, limite massimo per i rinnovi, fissato dal dl Dignità per i contratti a tempo determinato.
Di Maio e company hanno ridotto il precariato aumentando la disoccupazione. Un bel traguardo. O forse no. Infatti, a ben vedere, il dl Dignità non obbliga le aziende a non assumere altri dipendenti dopo aver messo in strada le famiglie di quelli ai quali non è stato rinnovato il contratto. Ne consegue che altri 50mila lavoratori, avranno la possibilità di lavorare come precari in attesa del prossimo turnover che li vedrà, disoccupati e disperati, lasciare il posto di lavoro in favore di altre decine di migliaia di poveri disgraziati destinati a loro volta a seguire la sorte di chi li ha preceduti.
Se questo è il risultato finale dell’indegno decreto legislativo, a cui per ironia della sorte o per sbeffeggiare i lavoratori, si è dato il nome di “DL Dignità”, non meno paradossale è stata la previsione di portare il numero massimo delle proroghe da 5 a 4 nell’arco dei 24 mesi, con il risultato che le aziende, prima di dover convertire i contratti a tempo determinato in tempo indeterminato, licenziano per un mese il dipendente, salvo poi riassumerlo il mese successivo. Fatta la legge, trovato l’inganno, il lavoratore ci ha rimette un mese di lavoro (e di stipendio) ogni tre proroghe di contratto.
L’opera d’arte di Di Maio, non ha soltanto reso stabile il precariato (nel senso che non esisteranno più contratti a tempo indeterminato) ma grazie alla mancata previsione di forme di controllo a tutela dei lavoratori, ha anche incentivato l’illecito abuso di contratti part-time a tempo determinato, che di part-time non hanno nulla.
Contratti a 16, 24 o 30 ore settimanali, per dipendenti che lavorano anche dalle 40 alle 55 ore a settimana, con un bel risparmio di contributi da versare da parte delle aziende. Se è pur vero che la legge prevede che le ore di lavoro in più prestate dal dipendente devono essere comprese in quelle previste per il lavoro a tempo pieno (40 ore settimanale o comunque secondo quanto stabilito dal proprio CCNL di riferimento) considerando come lavoro supplementare quello prestato (entro il 25% delle ore di lavoro settimanali previste dal proprio contratto) le ore in eccedenza, che danno luogo a una maggiorazione della retribuzione, considerando come lavoro straordinario (con ulteriore maggiorazione dei compensi) quello eccedente il lavoro supplementare, ammesso soltanto per i contratti part-time ad orario verticale o misto e, in ogni caso, soltanto in misura limitata.
Purtroppo, in mancanza di adeguati controlli, il lavoratore dovrà far valere i propri diritti rivolgendosi agli enti preposti, dimostrando il mancato rispetto di quanto previsto dal proprio CCNL di riferimento o da altre norme in materia di lavoro.
Nonostante l’intervento del legislatore sembri aver finito con l’incentivare il precariato, aumentare la disoccupazione e togliere al lavoratore quel briciolo di dignità che gli era rimasta in questo paese allo sconquasso e senza alcuna prospettiva, per fortuna non si è ancora arrivati alla determinazione di abolire gli organi di controllo (Guardia di Finanza, Ispettorato del Lavoro, Giudice del Lavoro e, nei casi più gravi, la magistratura penale).
Dal lavoro nero, si è passati al lavoro grigio, ovvero allo sfruttamento dei lavoratori quasi legalizzato, ma non del tutto…
Cosa serve per diventare ministro dello sviluppo economico e ministro del lavoro e delle politiche sociali? Per prima cosa una scarsa conoscenza delle problematiche lavorative e sociali; seconda, una scarsa capacità di distinguere il pazzesco da ciò che è logico e sensato. In ultimo, dulcis in fundo, fa titolo il non aver mai lavorato, o comunque l’aver lavorato poco, nel corso della propria vita.
Gian J. Morici