La pubblicazione settimanale del sito Pro\Versi.it è dedicata all’uccisione della giornalista italiana Ilaria Alpi, avvenuta in Somalia il 20 marzo 1994, ad oggi ancora senza esecutori, senza mandanti e senza moventi.
Ilaria è stata freddata in un agguato nei pressi dell’Ambasciata italiana da un commando di almeno sette persone. Insieme alla Alpi perse la vita anche Miran Hrovatin, cineoperatore e fotografo. I due rientravano dal Nord del Paese dove avevano intervistato il sultano del Bosaso, Abdullahi Mussa Bogor.
In un primo momento, fu chiaro a molti che si trattasse di un agguato premeditato, un’esecuzione legata all’attività giornalistica. Tuttavia, già tre giorni dopo l’attentato, le indagini imboccarono un’altra strada, quella della rapina o del rapimento finito male.
La storia delle indagini che seguirono è costellata di depistaggi, infiltrazioni, false testimonianze e prove scomparse. L’unico condannato, Hashi Omar Hassan, è stato assolto nel 2016 dalla Corte d’Appello di Perugia, dopo 16 anni di ingiusta detenzione.
Tra le ipotesi più battute riguardo il movente, c’è quella che mette in relazione l’omicidio con le indagini che Ilaria Alpi stava conducendo su traffici illegali di armi e rifiuti tra Italia e Somalia.
Franco Oliva, ex funzionario del Ministero degli Esteri in Somalia, è tra coloro che sostengono che la morte degli inviati del Tg3 sia legata alle inchieste che stavano svolgendo nel Paese africano. Oliva conosceva benissimo la corruzione dilagante in Somalia in quel periodo di guerra civile, in quanto aveva denunciato più volte illegalità e malaffare legati ai progetti di cooperazione.
La famiglia Alpi non si è mai arresa e la madre di Ilaria, Luciana, ha portato avanti la sua battaglia per la verità fino agli ultimi giorni di vita. Per Luciana Alpi, assistita dagli avvocati Domenico e Giovanni D’Amati, Ilaria e Miran sono stati uccisi per il traffico armi-rifiuti sul quale stavano indagando.
Giancarlo Marocchino, l’imprenditore italiano nel settore dei trasporti residente in Somalia, che offrì durante la guerra civile supporto logistico e ospitalità a militari e giornalisti, ha portato da sempre avanti la tesi del rapimento finito male, accusando organi di stampa e parte della politica italiana di aver attutato un clamoroso depistaggio mediatico sul caso. Anche Carlo Taormina, avvocato e politico, ha sempre difeso le conclusioni della Commissione parlamentare d’inchiesta, della quale era presidente: dietro al duplice omicidio non ci sarebbe nessuna premeditazione e nessun movente legato alle attività degli inviati.
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