Favorevole o contrario?
A quasi 43 anni dal brutale omicidio di Pier Paolo Pasolini, uno degli intellettuali italiani più rappresentativi del XX secolo, incertezze e dubbi avvolgono ancora l’accaduto, tanto da lasciare parte dell’opinione pubblica ancora con un senso di sospensione, come di fronte a un romanzo crudele del quale si attende ancora la stesura dell’ultima pagina.
Poche settimane prima dell’anniversario della scomparsa di Pasolini, il sito Pro\Versi.it dedica un approfondimento alla morte dello scrittore, poeta, regista, giornalista e sceneggiatore, ucciso nella notte tra il I e il 2 novembre del 1975 all’Idroscalo di Ostia, selvaggiamente picchiato e investito con la sua stessa auto. Fu condannato per il delitto il diciassettenne Pino Pelosi, un “ragazzo di vita”, che era stato fermato la notte dell’omicidio alla guida dell’auto dello scrittore. Sin da subito, però, la versione ufficiale non convinse: molti ritenevano impossibile che a compiere un simile delitto fosse stato un esile diciassettenne. E lo stesso Pelosi parlerà in seguito del coinvolgimento di altri soggetti. Altre ipotesi collegano l’omicidio di Pasolini alla sua attività giornalistica. Alcuni l’hanno avvicinato alla “lotta di potere” in atto in quegli anni nel settore petrolchimico e al romanzo-inchiesta Petrolio, al quale l’intellettuale stava lavorando. Altri ritengono l’omicidio parte della strategia della tensione, in quanto lo scrittore aveva accusato importanti politici di collusione con le stragi di quegli anni.
Secondo alcuni – tra cui l’avvocato della famiglia Pasolini – il delitto fu di matrice politica, per mettere a tacere un intellettuale scomodo. L’omicidio andrebbe dunque contestualizzato nella cupa atmosfera degli anni della strategia della tensione e delle stragi di Stato. Nel libro Pasolini. Un omicidio politico. Viaggio tra l’apocalisse di Piazza Fontana e notte del 2 novembre 1975, Andrea Speranzoni e Paolo Bolognesi collegano l’omicidio in particolare all’attività giornalistica di Pasolini, impegnato a far luce sulle torbide dinamiche di “Palazzo” e sugli intrecci di potere dietro le stragi.
Molti, tuttavia, si sono schierati dalla parte della verità giudiziaria, sostenendo la bontà della sentenza, tra i quali Domenico Naldini, scrittore, regista e poeta, cugino di Pier Paolo Pasolini, il quale non ha mai avuto dubbi che a uccidere Pasolini sia stato Pino Pelosi e che il delitto vada inquadrato nel torbido mondo della prostituzione omosessuale.
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