di Simona Mazza
Il 14 settembre u.s. è venuto a mancare il Signor Cacciapuoti Antimo per i più uno sconosciuto, per altri colui che rinvenne clandestinamente il famoso Vaso di “Assteas” e dopo tanti anni collaborò con il luogotenente Roberto Lai del Reparto Operativo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale per consentirne il rimpatrio. Siamo tutti consapevoli delle difficoltà che esistono per ottenere la restituzione di capolavori sottratti al nostro patrimonio culturale ed acquisiti in modo illecito dai grandi musei internazionali. Magistratura, Avvocatura Generale dello Stato, Ministero, Carabinieri, una macchina operativa che ha lavorato senza sosta e ancora oggi sta dando risultati eccellenti. Ma, come spesso accade, certi risultati sono anche frutto di eccezionali intuizioni, una buona dose di acume investigativo, una grande capacità di relazionarsi. Questo riuscì a fare Roberto Lai nella complessa vicenda dell’Assteas, individuare un’anonima polaroid, capire che nella foto era raffigurato il capolavoro esposto al Getty Museum, identificare il personaggio raffigurato nella foto in un territorio difficile e omertoso come quello dell’agro aversano, convincere Cacciapuoti a confessare. Mettere insieme una serie di elementi per portare avanti una richiesta di rogatoria internazionale per un reato oramai ” prescritto”. Quando Lai si presentò a casa del Cacciapuoti lo fece entrando in punta di piedi, senza tanto clamore, con una polaroid in mano, non fu difficile convincere il Cacciapuoti, questi si riconobbe nella foto e raccontò l’affascinante ritrovamento di uno dei più grandi capolavori dell’arte antica nella consapevolezza che quel capolavoro doveva tornare in Patria. Oggi il Signor Antimo non ce più la sua testimonianza fu importante e determinante per ridare identità al capolavoro perduto.
Ho appreso della scomparsa del Cacciapuoti attraverso il profilo ufficiale Facebook di Roberto Lai, sono rimasta colpita dalle parole usate da Lai e sopratutto dal fatto che uno dei figli del Cacciapuoti dopo tanti anni ha cercato di rintracciare il luogotenente, oggi in congedo dall’Arma per portarlo a conoscenza dell’avvenuta morte del papà.
Lai scrive : ” Dietro questi umili personaggi spesso si nascondono persone che non fanno parte della criminale filiera che si è arricchita violando il nostro patrimonio culturale. Alcune volte sono inconsapevoli protagonisti che hanno scritto una pagina della nostra Storia“.
Il cratere di Assteass:
Oggi parliamo degli eccezionali recuperi del nostro amico Roberto Lai, lo “Sherlock Holmes” di opere d’arte rubate, graditissimo ospite della nostra rubrica culturale.
Il cratere.
L’approfondimento odierno riguarda il Cratere di Assteas, raffigurante il “Ratto di Europa” realizzato da Assteas, (noto ceramografo e ceramista vascolare della Magna Grecia che operò a Paestum tra il 350 e il 320 a.C.), gestore di un grande laboratorio in cui si producevano hydriai e crateri.
Il vaso di Assteas rappresenta un tassello importante dell’antica storia del Sannio e dell’arte magnogreca, tanto da essere considerato “il vaso più bello del mondo”.
L’indubbia attribuzione è data dal fatto che il ceramografo incise sulla superficie del vaso sia la sua firma sia i nomi delle figure dipinte.
Il cratere, appartenente alla tipologia detta “a calice”, rientra nel filone della ceramica a figure rosse.
Alto 71,4 cm e con orlo dal diametro di 60 cm. poggia su un alto piede a tromba rovesciata, collegato al fondo del vaso tramite un echino molto pronunciato.
Il cratere serviva a mesciare il vino (troppo forte all’epoca) con acqua, miele e spezie, molto probabilmente tuttavia esso fu usato come corredo funebre per accompagnare nell’aldilà una persona di grossa levatura sociale, presso l’antica Saticula, l’odierna Sant’Agata de Goti, in provincia di Benevento.
Cosa rappresenta il cratere?
La rappresentazione del ratto d’Europa è abbastanza complessa e variegata.
I nomi, graffiti dopo la cottura del vaso, hanno consentito di riconoscere i personaggi.
Ogni figura è infatti, identificabile grazie a una didascalia incisa dall’artista, ad eccezione di un piccolo personaggio in alto a destra, il presunto Eros (o Pothos) il cui nome non è stato inciso.
La scena ritrae il mito di Europa, assai noto sin dall’antichità.
Le prime tracce scritte risalgono intorno all’VIII secolo a.C. (ai tempi di Omero ed Esiodo).
E’ uno dei tanti miti di predazione erotica compiuta da Zeus, il cui fascino risiede nell’ambiguità del ratto.
Ciò che stupisce è infatti la compresenza di violenza e amore: la fanciulla è stata ingannata, rapita.
Secondo il mito, Europa era la bellissima figlia del re fenicio Agenore e di Telefassa.
La fanciulla si recava spesso con amiche e ancelle sulle rive del mare.
Un giorno Zeus la vide e se ne innamorò perdutamente.
Per sedurla, evitando di terrorizzarla, assunse le sembianze di un bellissimo toro bianco e cominciò a pascolare nelle sue vicinanze.
Europa venne attratta dall’eleganza e dalla docilità dell’animale, finché gli salì in groppa.
Allora il toro si mise a correre all’impazzata verso il mare e trascinò la fanciulla attraverso il mar Mediterraneo.
La condusse da Oriente a Occidente, dalla Fenicia fino all’isola di Creta. Qui Zeus si unì alla giovane Europa.
Il mito rappresenta lo spostamento di civiltà da Oriente a Occidente. E’ un racconto suggestivo, che ha il pregio di parlare di incontri tra culture. Proprio come il rapporto tra Zeus ed Europa, così il rapporto tra Oriente e Occidente è stato nei secoli (ed è ancora) un rapporto di violenza e attrazione. E l’Europa ha origine lì.
Le vicissitudini.
Da Poseidonia (Paestum) il cratere giunse a Saticula (attuale Sant’Agata dei Goti, Bn), a testimonianza dei flussi di scambio tra le officine italiote e le città sannite.
Come accennavamo, qui venne usato come corredo funebre e rimase interrato per secoli.
Nel 1974 il cratere venne rinvenuto in uno scavo clandestino nelle campagne dell’antica Saticula.
Il tombarolo dapprima si appropriò illegalmente del reperto, poi lo portò a casa, fece alcuni autoscatti con una Polaroid e infine lo vendette ad un commerciante locale di arte antica , barattandolo con un maialino e un milione delle vecchie lire.
Il cratere seguì poi il triste iter della filiera di un’organizzazione criminale dedita al traffico internazionale di reperti storici, venendo depositato in Svizzera nel 1978 in attesa di un acquirente. Nel 1981 fu venduto al Getty Museum (Malibu, California) per 380.000 dollari, dove fu esposto dal 1981 al 2005.
Il collezionista svizzero concluse uno dei più grande affare della sua vita.
Il ruolo del luogotenente Roberto Lai
In seguito a lunghe e complesse indagini dell’Arma dei Carabinieri (Comando Tutela Patrimonio Culturale), condotte dal nostro segugio Roberto Lai, fu possibile riportare il cratere in Italia.
La prova schiacciante della Polaroid ritraente il cratere e il tombarolo che lo aveva ritrovato anni addietro, non lasciava dubbi sull’appartenenza del cratere.
A questo punto il cratere comincia a uscire dall’anonimato.
Nel 2007 furono restituiti all’Italia 67 pezzi archeologici (essendone stata comprovata la provenienza), grazie alle complesse indagini dei Carabinieri e della Magistratura e grazie all’iniziativa diplomatica intrapresa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali nei confronti di alcune istituzioni museali statunitensi. Tra questi oggetti, anche il cratere di Assteas.
Nel 2009 il cratere fu collocato presso il Museo Archeologico Nazionale di Paestum, divenendo ben presto oggetto di contesa tra quest’ultimo e il Museo Archeologico del Sannio Caudino di Montesarchio.
Paestum infatti rivendicava la collocazione del cratere nel luogo in cui era stato realizzato, mentre i comuni ricadenti nei territori della Valle caudina, telesina e vitulanese (tra cui Montesarchio e Sant’Agata) rivendicavano la collocazione dell’opera di Assteas nel Museo Archeologico del Sannio Caudino, in quanto importante vestigia culturale del territorio sannita.
Tra il 2014-2015 il vaso di Assteas venne esposto a Sant’Agata dei Goti nella mostra “L’oggetto del desiderio. Europa torna a Sant’Agata” allestita all’interno della Chiesa di San Francesco.
Nel Giugno 2015 il vaso venne trasferito all’interno del Museo Archeologico Nazionale del Sannio Caudino di Montesarchio, guidato da Luigina Tomay, della Torre di Montesarchio, ex fortezza aragonese, poi carcere borbonico (vi fu imprigionato anche Carlo Poerio) riaperta dopo molti anni grazie ad un lavoro di restauro condotto dal Comune, diretto dal sindaco Francesco Damiano, d’intesa con la Soprintendenza archeologica della Campania ed il Polo museale.
Attualmente si trova qui.
Il 27 Luglio 2015 il vaso è partito per una “tournée”, che ha raggiunto persino l’Expo di Milano.
Il suggestivo racconto dello “Sherlock Holmes” Roberto Lai.
“Tra i tanti recuperi di arte rubata mi è particolarmente caro quello relativo al cratere di “Assteas” ceramografo e ceramista greco, attivo a Paestum nel IV secolo a.C. . Quando presentai la richiesta di commissione di rogatoria internazionale al Sostituto Procuratore della Repubblica di Roma – dr. Paolo Giorgio Ferri, questi mi guardò titubante. Si trattava di un reato prescritto e con evidenti difficoltà, considerato che il prezioso reperto si trovava esposto in uno dei più importanti Musei internazionali da tantissimi anni. Una sfida difficile ma non “ impossibile” e fu proprio per questo che Paolo Giorgio Ferri dopo tanta e sfacciata insistenza decise di dare seguito alla rogatoria. Dottor Ferri mi conosceva bene e sapeva che difficilmente mollavo la preda e questa preda mi piaceva oltre ogni misura. Avevo tra le mani una polaroid “una eloquente polaroid” che ritraeva un tombarolo che sosteneva l’importante cratere, identificato successivamente in Cacciapuoti Antimo. Mi recai in missione nell’agro di Casal di Principe supportato a 360 gradi dal P.M. Ferri. In quel difficile territorio iniziai, tra omertà e diffidenza la ricerca di Antimo Cacciapuoti. Arrivai a San Cipriano D’Aversa e fu proprio in quel luogo che individuata l’abitazione del Cacciapuoti riconobbi il giardino dove fu scattata la famosa polaroid. Ero consapevole che Cacciapuoti avrebbe difficilmente confessato “ma” memore di altre esperienze mi affrettai a cercare attraverso la Procura di Santa Maria Capua Vetere un avvocato per sentirlo con le garanzie di legge. Mentre attendevo l’avvocato la moglie del Cacciapuoti preparò un caffè …un caffè speciale,come solo nel napoletano sanno fare e fu sorseggiando quel caffè che mostrai ad Antimo Cacciuapuoti le foto del Cratere in esposizione al (Jean Paul Getty Museum), parlai del business che aveva interessato il suo ritrovamento “ Tu lo hai ceduto per un milione di lire e un maialino e nel 1981 il Paul Getty Museum di Malibu lo ha acquistato per 380.000 dollari”. Parlammo in modo informale per circa un’ora e mentre parlavamo capii che non sarebbe stato difficile convincerlo. Ancora una volta usai le parole magiche rivolgendomi ad Antimo in modo confidenziale:
“ Questa è la nostra storia, la nostra identità, questo capolavoro deve tornare a casa è appartenuto ai nostri avi è Tuo è mio, è del Sannio è della Campania è dell’Italia è del Patrimonio culturale universale e domani sarà dei figli dei nostri figli, al Getty potranno tenere giusto qualche punta di lancia appartenuta agli indiani, ma non possono detenere parte della nostra identità, riportiamolo a casa”. Quando arrivò l’avvocato, Cacciapuoti non ebbe difficoltà a riconoscersi nella polaroid e mi raccontò dello scavo clandestino. Accertamenti successivi mi consentirono di appurare che, il ritrovamento risaliva all’anno 1974, fu visto per la prima volta nel 1978 dal curatore del J.P. Getty Museum, Jiri Frel, precedentemente il vaso si trovava nella disponibilità di tale Karl Haug, persona che in quell’epoca era titolare di un Hotel in Basilea. Quest’ultimo, a sua volta, aveva dichiarato, per nascondere l’origine del cratere di aver acquistato il reperto da un collezionista svizzero deceduto. Il vaso venne pubblicato dal Trendall 1981, quando già si trovava in prestito presso il J.P. Getty Museum. Questo antico vaso racconta la storia di Europa, figlia del re fenicio Agenore Zeus, che se ne era innamorato, si trasformò in un toro bianco e, con lei in groppa, attraversò il mare fino all’isola di Creta. Pothos, la specie di angioletto, simbolo del desiderio amoroso, era lì a sottolineare che non si trattò di violenza ma d’amore. Il ritratto di Europa, è stato integrato in alcuni elementi di sicurezza della nuova serie di banconote in euro, che per questo motivo è denominata “Europa”. Le banconote della serie dedicata a Europa sono introdotte gradualmente nel corso di diversi anni, in ordine ascendente. I primi tre biglietti della nuova serie, ossia i tagli da €5, €10 e €20, sono stati emessi rispettivamente nel 2013, nel 2014 e nel 2015. La nuova banconota da €50, presentata il 5 luglio 2016, inizierà a circolare nell’aprile 2017. Il cratere già esposto all’Expo di Milano, ora è tornato nella torre del Castello di Montesarchio, protagonista di esposizioni al Quirinale, al museo di Paestum, al Palazzo dell’Unesco a Parigi e a Sant’Agata de’ Goti. Ora è entrato nelle preziose collezioni del Museo archeologico nazionale del Sannio Caudino (sempre nel castello di Montesarchio), guidato da Luigina Tomay. In questo splendido museo, è molto curata la sezione sui vasi provenienti dalle vicine necropoli di Saticula, Telesia e Caudium. Una storia senza tempo un racconto mitologico che ci racconta dell’Europa, lo stesso Assteas che volle firmare di pugno il suo capolavoro che raccontava dell’Europa. Lo faceva solo con i lavori più riusciti. E quel vaso era davvero uno splendore. Scrisse “Assteas egrapse”, “l’ha dipinto Assteas”.Oggi con un pizzico di presunzione posso dire che ci troviamo davanti a un’altro “Nostoi” grazie alla passione e alla determinazione, senza quella polaroid ritrovata tra centinaia di altre foto in un altro incredibile contesto ( ma questa è un’altra storia), senza l’intuizione di aver capito che il vaso ritratto era lo stesso in bella mostra al Getty e che il tombarolo che reggeva si identificava in Cacciaputi Antimo, senza l’immediato interrogatorio e senza Paolo Giorgio Ferri che si è fatto convincere, quell’opera oggi starebbe ancora la Getty. La rogatoria permise di appurare che il reperto era transitato al museo americano senza i documenti di accompagnamento previsti dalla normativa vigente e quella polaroid e quella testimonianza risultavano imbarazzanti per un Museo come il Getty. Furono proprio queste le motivazioni per far rientrare anche “l’Assteas “ nell’accordo tra il Museo americano e lo stato italiano. La storia dei grandi recuperi va raccontata dai protagonisti “ tutto il resto potrebbe essere inquinato dalla fantasia per il solo gusto di apparire e non di “ essere”.
Le grandi opere d’arte sono la nostra storia chi le ruba s’impossessa di qualcosa che appartiene a ciascuno di noi.
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Un plauso al dott. Roberto Lai, già protagonista di tantissimi recuperi di opere d’arte. L’Italia ha bisogno di queste eccellenze silenziose che lavorano con vera passione. Spesso in TV vediamo papaveri che si riempiono la bocca con il frutto del lavoro altrui, leggere queste storie scalda il cuore e ci fa sentire orgoglioso di essere italiani.
articolo importante e molto interessante.