A cura di Beniamino Malavasi
Amici lettori, siamo onorati di poter scambiare qualche parola con Angelo Baviera, siciliano di Aidone, una laurea in filosofia, docente di lettere in pensione, poeta (ha pubblicato diverse raccolte di poesie, tra le quali: “Frammenti d’amore e di libertà” del 2013; “Sotto i tiepidi raggi di aprile” del 2014; “Fra un sogno e una speranza” del 2016; “Steli inflessibili di una nuova primavera” del 2017), saggista (ha, infatti, pubblicato alcuni scritti dedicati, rispettivamente, a Antonio Gramsci; a Ernesto “Che” Guevara; e alla “resistenza”); in poche parole: intellettuale, nel senso più vero e profondo del termine, a tutto tondo. Non per nulla, il Comune di Aidone l’ha insignito di un riconoscimento per aver: “Valorizzato Aidone ed averne fatto conoscere l’essenza attraverso i propri scritti.”
Dott. Baviera, lei ha attraversato tutte le fasi, diciamo così, evolutive della Sinistra italiana: da Berlinguer a Renzi; ecco, secondo lei, affinché quel grande movimento politico-culturale possa riacquistare il primato morale, e non solo, che la Storia gli ha da sempre riconosciuto, nel nostro Paese, vista l’attuale confusione socio-politica, servirebbe di più un Gramsci o un Ernesto “Che” Guevara?
L’Italia avrebbe bisogno nuovamente di una personalità come Berlinguer, il quale era capace di guardare avanti, di fare un discorso critico nei confronti del comunismo sovietico, delle realtà oltrecortina e, nello stesso tempo, di tenere insieme tutte le anime del partito. Conobbi Berlinguer al teatro di Enna nel ’76, periodo in cui il PC raggiunse il massimo splendore. Ero lì per rappresentare altri giovani comunisti.
All’interno della società sovietica, a un certo punto, Berlinguer rilevò delle contraddizioni: libertà e diritti civili che non venivano garantiti. Berlinguer vide i limiti di quella società e disse che la spinta propulsiva della rivoluzione si era fermata; fece un’analisi molto chiara sul socialismo e lo fece anche a Mosca, cose che non piacque all’Unione Sovietica.
Oggi una figura come Berlinguer non esiste, una figura capace di evitare la frantumazione della sinistra, frantumazione che sarà difficile fermare.
Antonio Gramsci: politico, filosofo, critico letterario, giornalista…Lei, alla luce delle sue esperienze di studio, nonché politiche, si reputa figlio, nipote o…altro di quel grande Pensatore?
Considero Antonio Gramsci un maestro perché è anti-dottrinario. Non mummificò il marxismo, anzi cercò di ammodernarlo. Gramsci aveva una visione dialettica della realtà, che si muove, che cambia, non voleva sentire parlare di ideologie. Le ideologie sono qualcosa di mummificato e cristallizzato. Gramsci era invece per il movimento.
Sarebbe interessante parlare del rapporto tra Gramsci e Marx. Quando avvenne la Rivoluzione d’Ottobre, Gramsci scrisse un articolo famosissimo: “La rivoluzione contro il Capitale”, riferendosi all’opera più grande di Carlo Marx. Dal socialismo meccanicista ed evoluzionista, quest’ultimo veniva considerato come una sorta di profeta, secondo cui ogni parola enunciata doveva necessariamente realizzarsi. Marx prevedeva una rivoluzione socialista nei paesi occidentali dove esisteva una classe operaia molto forte, mentre la rivoluzione avviene in Russia, un paese economicamente e tecnologicamente arretrato rispetto agli altri paesi europei, grazie pure alla capacità di Lenin di osservare e capire la realtà senza schemi ideologici.
Nella lunga storia del comunismo c’è una grossa, indelebile, macchia: l’alleanza, durata dal 1939 al 1941, tra Hitler e Stalin per spartirsi l’Europa. Secondo lei, come fu possibile che gli alfieri di ideali così diversi, abbiano potuto trovare una convergenza, tutto sommato, così duratura?
Questo patto certamente allora produsse una forte divisione a sinistra tra il partito socialista, i comunisti, le forze di sinistra e il partito di giustizia e libertà. Che naturalmente non giustificarono quel tipo di alleanza. Ci fu una divisione nel movimento operaio che poi successivamente si ricompose dopo l’aggressione all’URSS.
Comunisti si nasce o si diventa?
Io posso dire di avere il socialismo nel DNA perché appartengo a una famiglia antifascista, di sinistra. Però si può anche diventare comunisti. Durante il periodo fascista, Gentile, allora ministro della pubblica istruzione, pretese il giuramento di fedeltà da parte di tutti i professori universitari. Tredici su milleduecento si rifiutarono di giurare, perdendo così la cattedra. Questi professori, i cui nomi secondo Silone dovevano comparire sulle pareti delle università, riscattarono la dignità di un’intera categoria che si era arresa al fascismo per necessità.
Molti degli accademici vicini alla sinistra aderirono al giuramento seguendo il consiglio di Togliatti poiché, mantenendo la cattedra, avrebbero potuto svolgere, come dichiarò Concetto Marchesi: «Un’opera estremamente utile per il Partito e per la causa dell’antifascismo».
Nell’ultimo libro che ha scritto, “Storia dell’antifascismo e della Resistenza”, c’è un paragrafo interessante sul ruolo delle donne durante la Resistenza. Ce ne vuole parlare?
È un aspetto che io ho voluto mettere in rilievo insieme all’altro contributo del Mezzogiorno alla guerra. Sono entrambi due aspetti poco noti. Il ruolo delle donne è stato fondamentale. Senza le donne i partigiani non avrebbero vinto. Sono d’accordo con tutti quegli storici che hanno messo in rilievo l’importanza delle donne durante la Resistenza. Riguardo al Mezzogiorno, poi, esistono dei luoghi comuni. È vero che il movimento partigiano si sviluppò in forme politicamente e socialmente evolute al nord, ma esiste anche una resistenza al sud: si sono verificati episodi a Mascalucia, Matera. A Maschito, un paese della Basilicata, venne addirittura abolita la monarchia, vennero abolite le leggi. I contadini erano stanchi, e finalmente richiesero i loro diritti. Secondo l’analisi di Gramsci il fascismo fu soprattutto un movimento voluto dagli industriali e dagli agrari per fermare l’avanzata delle classi lavoratrici, un fenomeno di barbarie composta da gente poco acculturata.
L’Italia è agli ultimi posti anche per quanto riguarda la lettura (quotidiani, libri, riviste): quando era docente che “trucchi” usava per invogliare gli studenti a “prendere in mano” un libro anche al di fuori degli obblighi scolastici?
Attraverso il teatro ho voluto coinvolgere i miei alunni nella lettura, nella preparazione del testo, in modo da fare approcciare i ragazzi in maniera divertente allo studio. Quando ero studente i professori volevano che imparassi a memoria le poesie, un esercizio che trovavo e trovo tuttora inutile, che può allontanare dalla poesia, addirittura farla detestare. Da insegnante ho sempre lasciato i miei studenti liberi di imparare a memoria una poesia o meno, senza nessuna imposizione. Ciò che conta è cogliere il senso di ogni poesia, il significato. Quando insegnavo portavo i libri da casa, quelli scolastici mi erano poco utili. Fino al 1970 c’erano antologie bellissime; le nuove antologie, purtroppo, non hanno più i classici, i grandi poeti: i grandi scrittori non esistono più. Quando spiegavo continuavo su un determinato argomento fino a suscitare l’interesse e il desiderio di approfondimento degli studenti.
Quale strumento predilige per far conoscere il suo pensiero?
Anche se non mi piace molto, Facebook è uno strumento ottimo per comunicare, mi ha permesso di divulgare le mie poesie. Il mondo dei Social è bello ma preferisco la carta stampata. Ho ricordi olfattivi dei libri che odoravo da ragazzino, odore particolare. Iniziai con l’appassionarmi ai fumetti: alcuni eroi hanno contribuito alla mia educazione morale, erano tutti eroi positivi contro i banditi.
Ringraziamo il Professor Angelo Baviera per la sua disponibilità e per il tempo che ci ha dedicato.