Il business degli immigrati sfruttati nelle fabbriche clandestine di prodotti tessili, ha alle sue origini il traffico di esseri umani. Sono queste le frontiere delle nuove forme di schiavitù, all’interno del cui contesto la vita umana non ha alcun valore.
Operai cinesi costretti a turni di lavoro massacranti, costretti in edifici fatiscenti all’interno dei quali la vita privata coincide con quella lavorativa. Il tutto, per pochi euro al giorno.
A raccontare come il distretto tessile di Prato produca per tutta l’Europa capi cuciti a mano da donne, ad ogni ora del giorno e della notte, è Rita Pedditzi, per il programma “Inviato Speciale” di Rai Radio 1, che ha intervistato il procuratore di Prato, Giuseppe Nicolosi , che dal microfono della giornalista illustra questo sistema di scatole cinesi che continua a rimanere in piedi grazie a una fitta rete connivenze con professionisti italiani.
Abbiamo fatto diverse inchieste che dimostrano che questo sistema di eludere gli obblighi contributivi in materia fiscale è alimentato da professionisti che assecondano le aspirazioni evasive di questi imprenditori cinesi, afferma il procuratore, stigmatizzando come un giro di affari di centinaia di migliaia di euro sia reso possibile grazie all’intervento di studi professionali che contribuiscono a mettere al riparo da eventuali controlli i loro clienti.
“Un sistema portato agli occhi del mondo il primo dicembre 2013 – narra la giornalista – quando sette lavoratori cinesi morirono avvolti dalle fiamme nel sonno, nella fabbrica dove lavoravano e dove dormivano”.
È ancora la Pedditzi che intervista Luigi Mauro, direttore dell’unità funzionale di prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro di Prato, che interviene per spiegare il funzionamento del piano “lavoro sicuro”, adottato dopo la strage del dicembre 2013.
“Nella prima fase dei controlli, che è durata circa tre anni, sono state controllate in tutta l’area vasta oltre ottomila aziende. Nella provincia di Prato sono state controllate circa 4.400 aziende” – dichiara Mauro, che evidenzia come nel 2017 si sia ritenuto di dover proseguire il piano controllando altre 1.800 aziende a Prato, illustrando i risultati positivi ottenuti, che hanno portato a riscontrare 165 dormitori abusivi in questa seconda fase, contro i 790 scoperti nella prima fase.
Risultati positivi, con la tendenza al miglioramento, che restano comunque ancora fragili secondo il direttore dell’unità funzionale, che avverte sulla necessità di consolidare questi dati, prolungando il piano e affinando ancora di più questo strumento di prevenzione.
Il mercato di questi nuovi schiavi orientali, è purtroppo un settore che non conosce crisi e che anzi proprio sulla crisi prospera. Una realtà troppo spesso ignorata dai media che seguendo le mode populistiche finiscono con il porre maggiore attenzione ad altre forme di immigrazione, sottovalutando un fenomeno grave che vede l’Italia ai primi posti in Europa come numero di vittime da sfruttamento.
L’ultima fase di questa catena criminale, che nasce già dal traffico di esseri umani e che si alimenta di altrettanti reati gravi, quali il traffico di stupefacenti, la prostituzione e il gioco d’azzardo, che vedono nelle organizzazioni criminali asiatiche i leader mondiali di alcuni settori dell’economia illegale.
Rita Pedditzi, intanto, segue l’intervento della task force che interviene a seguito della segnalazione di un cittadino. Un’operazione coordinata da un ufficiale di polizia giudiziaria che spiega come i cinesi, con la crisi del tessile pratese, si siano ritrovati a riempire un vuoto, utilizzando i capannoni lasciati dall’industria pratese. Una realtà che vede il coinvolgimento dell’industriale pratese, trasformatosi in immobiliarista.
Un’apparente risorsa per la realtà pratese, il cui rovescio della medaglia è però rappresentato dal mancato rispetto delle norme lavorative.
Come arrivano i lavoratori cinesi?
Nel 90% dei casi, spiega l’intervistato, arrivano con un visto turistico. Se si va a cercare, si vede che Prato è una delle mete preferite dai turisti cinesi. In realtà è quasi impossibile vedere uno di questi “turisti” interessati a vedere le attrattive storico-culturali. Entrano dunque con il visto turistico ma poi non ritornano in Cina.
Un ingresso in Europa che spesso avviene dai paesi dell’est. Arrivati in Italia, vengono privati, dai loro connazionali, dei propri passaporti, che vengono riportati in Cina per farli vidimare con il visto di ritorno. Restano dunque in Italia, vittime di queste forme di criminalità organizzata, alla quale devono restituire il debito contratto per vivere questo sogno occidentale che, in realtà, si trasforma per loro in un incubo senza fine.
A fronte delle statistiche che parlano di circa 40mila cinesi, a Prato si stima che ce ne siano 60 o 70mila. Un popolo di fantasmi. Dal controllo in atto da parte della task force, alla presenza della giornalista, emerge come il piano terra dell’edificio sia occupato da un’azienda italiana. Al piano superiore le finestra sono oscurate. Non c’è nessun numero civico. Dopo vari tentativi di farsi aprire, finalmente apre la porta un ragazzo di circa diciassette anni. All’interno, ci sono quattro persone e diciassette macchine da cucire. Qui la sicurezza rimane una parola vuota. Fili elettrici scoperti a contatto con i tessuti da lavorare, bombole di gas, dormitori creati con pareti in cartongesso. In strada, un venditore di frutta e verdura, italiano, pubblicizza in cinese i prodotti in vendita. Anche lui sa che qui gli unici acquirenti hanno tratti somatici asiatici.
Ditte che fiscalmente non esistono, operai assunti da una ditta che in realtà gestiscono queste ditte fantasma recandosi nel pronto moda dove ritirano gli abiti da confezionare per poi portarli nella loro struttura, dove i nuovi schiavi, lavorando anche 14 o 16 ore al giorno, cuciranno i tessuti alimentando un mercato che sfugge ad ogni regola fiscale.
Un mercato diretto e non parallelo – spiega la giornalista – che ricorda l’arresto dl capo dei capi dell’organizzazione cinese, che gestiva i trasporti su gomma delle merci cinesi.
A parlare degli arresti avvenuti a gennaio, è ancora il procuratore di Prato che spiega come si tratti di un’organizzazione mafiosa, gestita da cinesi, che opera all’interno della propria comunità. Un mondo chiuso che ha sempre puntato all’economia, spiegato al microfono della Pedditzi da Stefano Becucci, docente di sociologia delle migrazioni dell’università di Firenze.
La punta dell’iceberg degli interessi di una criminalità con la quale ci troveremo presto a dover fare i conti.
Gian J. Morici