Al mio articolo del 30 aprile “Convegni e velleità di moderazione” sono seguiti due “commenti” che, se non avessi una lunghissima assuefazione a sfidare ciò che può sembrare un ridicolo predicare al vento, inframezzato, in verità, da qualche rara e lontana soddisfazione per aver veduto, poi, mutare il vento dell’indifferenza e quello, magari, del fastidio e dell’incomprensione degli Amici o sedicenti tali, mi indurrebbero a concludere di non essermi saputo spiegare neanche un po’ ed, anzi di aver fatto capire solo il contrario di ciò che penso, pur avendolo ripetuto per lunghi anni.
Ritengo doveroso, anzitutto, rispondere al Sig. Massimo Niceta. Non ho dimenticato affatto il nostro incontro, conosco il suo caso e, quello della sua Famiglia (penso alla Famiglia Calas del “Trattato sulla tolleranza” di Voltaire) e ne ho parlato e scritto. E qui mi basta ripetere che si tratta di un caso per il quale occorrerebbe chiamare il Popolo alle armi! Mi dispiace assai quindi, che Egli mi abbia scritto “sono uno dei pazzi utopistici sognatori…”, come se così lo avessi definito.
Temo che il Sig. Niceta, cui non mi stancherò mai di esprimere tutta la mia solidarietà, non abbia letto affatto il mio articolo del 30 aprile, con il quale, in sostanza, invitavo Lui e tanti altri a non abbandonare la saggezza della loro “pazzia”, semplice, giusta e, soprattutto, trasmissibile ed utilissima radicale (non a parole) ribellione totale al regime di depredazione sagutiana.
Non conosco, invece, il Sig. Pietro Cavallotti (chi sa se è un discendente del “Bardo della Democrazia”?) ma conosco assai bene il suo discorso. Che, senza le giustificazioni che posso riconoscere a Niceta, nutre una totale repulsione per il mio, e non solo il mio, modo di ragionare e trattare la realtà politica. Non si spiega la sua offerta di “sottopormi il documento che abbiamo (??!!) preparato” e la sua assicurazione di valersi del mio pensiero in proposito come “motivo di prestigio”.
Tutto ciò mi dovrebbe forse indurre a non perdere tempo per ripetere quanto ho scritto in modo, credo, niente affatto criptico o troppo contorto, cercando, semmai, orecchie più disponibili a sentire.
Il dovere di fare “delle proposte costruttive” incombe anche a chi se ne è ben guardato quando ne aveva una pur minima facoltà quanto meno di enunciarle, solo a condizione, anzitutto, di “esistere” e non farlo al solo scopo di millantare la propria esistenza e, poi, se ne ha almeno un qualche potere, di spendere così il proprio peso politico.
Non dubito minimamente che il documento che il Sig. Cavallotti avrà approntato con i suoi sodali sia un bel “miglioramento” e però c’è poco da sperare di potersene valere se “tiene conto delle esigenze della lotta etc. etc. (ahi!! ahi!!) rispetto alla situazione esistente”. Del resto basta leggere qualche meno frettolosa sentenza dei “giurinconsulti” della Cassazione per leggere che sono dati per vigenti e necessari (ma nei limiti in cui…se ne possa, per le note “esigenze”, permettercelo!) accorgimenti e limiti nel senso di quelli con i quali Cavallotti e C. “regolano” la materia.
Il discorso, caro amico Cavallotti è semplice. L’ho fatto nel mio articolo e, ancora una volta, con la pazienza che non ho, lo ripeto: se questo bel discorso, questo orgoglioso “regoliamo in maniera diversa” ci venisse da un ministro e da una maggioranza parlamentare non potrei certamente fare a meno di farne oggetto di una attenta analisi e riflessione. Ma se la proposta viene da “nessuno”, da chi solo oggi si accorge che c’è uno spirito di ribellione contro le “naturali” enormità delle conseguenze di una legislazione che un partito fortissimo, quello dei magistrati, chiede addirittura di aggravare e rendere ancor più ingiusto e distruttivo, se l’unico titolo per far queste “moderate” proposte di cambiamento è rappresentato dal fatto che la proposta è ben studiata, analizzata, congegnata da parte di menti acute e sensibili, la “moderazione” e la stessa specificità e “raffinatezza” tecnico-giuridica (che, magari ci sarà pure) non serve a nulla.
Anzi serve, semmai, a smorzare lo spirito di ribellione, a “calmare” le giuste reazioni dei molti signori Niceta e ad indurli a fare d’ogni erba un fascio tra i responsabili della legislazione vigente ed i velleitari proponimenti di “ragionevoli” magistrati.
Per una piccola minoranza (ed ancor più per chi non è nemmeno ciò e da tempo ha rifiutato di esserlo) è meno difficile propagandare, diffondere, imporre il rifiuto totale di un sistema di sopraffazione e di ingiustizia che non cercarne dei miglioramenti, con degli accorgimenti tecnico-giuridici, dei quali i “giurinconsulti”, la banda delle amministrazioni dei beni sequestrati, i ladroni “laici” e togati e in abito talare se la ridono tranquillamente.
Questo non è affatto “disfattismo”.
Intanto posso affermare che da qualche tempo a questa parte la ribellione contro la depredazione pseudoantimafia, ancora pur così lontana da risultati positivi e pratici, ha fatto però passi rilevanti. Due o tre anni fa nessuno avrebbe osato aprir bocca per contestare il sistema predatorio.
E, è oggi il caso di aggiungere, neppure per proporre sapienti “miglioramenti” (se non in senso aggravante e peggiorativo).
Se questo movimento continuerà a lievitare, se la ribellione diventerà più estesa, così da coinvolgere non solo “moderati accorrenti a gettare acqua sul fuoco” ma a dare la sveglia ad imprenditori, docenti, cittadini e, magari, anche a qualche magistrato convinto di dover far giustizia e non “lotte” scriteriate, si dovrà riconoscere che non era certo ragionevole pensare di poter con le elaborate proposte di “miglioramento” vincere la battaglia.
Mauro Mellini