Credo che sul processo di Palermo, quello della c.d. “Trattativa”, ogni possibile commento serio (pochissimi, in verità) era già stato fatto assai prima della sentenza. Qualcun altro è sicuramente prematuro. Si tratta di quelli che riguarderanno la verità di quella operazione politico-eversiva, verità che, poi se potrà essere compresa ed accertata, lo sarà in base all’uso che di essa farà il Partito dei Magistrati. Lo vedremo probabilmente nei prossimi giorni. Non è il caso che esponga certe ipotesi che ho ben chiare e che vorrei tanto fossero sbagliate.
Ma qui ed ora mi sovviene, al solito, l’ombra di un altro, oramai assai lontano, tragico evento storico, anch’esso pseudo-giudiziario.
La storia non si ripete. Lo diciamo ancora una volta, ancora una volta aggiungendo che si ripetono gli espedienti, le gesta, le malefatte che la storia ci ha fatto conoscere. E si ripetono sensazioni, che, magari, è difficile definire, che analogie con il passato ci fanno percepire.
Sensazioni suscitate dai più oscuri e tragici avvenimenti, che non sembrano mai perdere la loro attualità e che, in effetti, pesano sulla coscienza inconscia dei popoli, sulla loro storia e sulla loro stessa identità.
Se l’aspetto ridicolo del processo per la cosiddetta “Trattativa Stato-Mafia” non credo abbia riscontri e precedenti, la storia, la tragedia, che c’è in ogni gran processo, anche in quelli che hanno risvolti ridicoli e, magari, soprattutto in quelli, rievoca altre tragedie. Altre consimili malefatte che di tale processo sono la logica (si fa per dire) ed il motore.
Non ho mai voluto approfondire con una autentica indagine storiografica, una vicenda di quella storia dei miei lontanissimi giorni dell’adolescenza.
Nella tragedia di quello che avrebbe dovuto essere lo “sganciamento” dell’Italia dalla Germania, con l’8 settembre, l’occupazione tedesca, il ritorno di Mussolini con la Repubblica Sociale, la pagina del processo di Verona ai componenti del Gran Consiglio che avevano votato la mozione Grandi del 25 luglio dell’anno precedente è quella più oscura e spaventosa. Su di essa ho sempre (forse dalla prima notizia che ne ebbi) avuto una mia personale convinzione: quella che, tra le diverse “congiure” che si erano intrecciate negli eventi del 25 luglio, era forse era stata la più importante, quella che si era conclusa con la fucilazione dei componenti del Gran Consiglio finiti nelle mani dei tedeschi e dei repubblichini. Che, forse non fu proprio una congiura perché Mussolini, che si sappia agì da solo. Ma tutto, a mio avviso, conferma che Mussolini avesse voluto essere defenestrato. Era tornato dal convegno con Hitler a Feltre terrorizzato. Di Hitler aveva una terribile paura fisica. Voleva passare la patata bollente della “trattativa” della resa agli Alleati scaricando su altri le ire di Hitler.
Così consentì la messa in votazione dell’ordine del giorno Grandi che sembrava fatto su misura per “scagionarlo”. Gli imputati del processo di Verona (che, guarda caso, erano tra i componenti del Gran Consiglio i più fessacchiotti) cercarono di difendersi dicendo la verità: che avevano capito che “il Duce” era d’accordo, o, almeno si rimetteva completamente alle loro decisioni. Con ciò confermando la loro sorte, perché fucilarli diveniva assolutamente indispensabile a completare l’operazione.
Mi direte: che c’entra? Certo a Palermo il carattere farsesco è stato prevalente. Ma nei giorni che fecero seguito alla fase “stragista” della mafia alle bombe degli assassinii di Falcone e di Borsellino, è certo che non furono i condannati di qu3sta farsesco processo o, almeno, non furono sono loro a domandarsi se non si era sbagliato a “prendere di petto” la mafia, di averlo fatto troppo presto, di essersi illusi dell’efficacia dei mezzi utilizzati per combatterla e, soprattutto molti, moltissimi furono colti dallo spavento dover affrontare una nuova fase di terrorismo, dopo quello delle B.B.R.R. che aveva scosso la Repubblica dalle fondamenta.
Il processo, il cui oggetto non si è mai capito bene quale specifici fatti riguardasse, quali reati (l’art. 338 c.p. c’entra come i cavoli a merenda) è stato ed è, come involontariamente ha chiarito la denominazione “d’arte”, “mediatica” “della Trattativa Stato-Mafia”, un processo allo Stato. Come quello di Verona. Solo che non ci sono i terribili sgherri delle S.S. di Hitler a fare da burattinai della fucilazione da infliggere al “Regno d’Italia”. Ma ci sono biechi figuri che tanto mi ricordavano i “repubblichini”.
Questo processo, questa sentenza, probabilmente non diventerà mai giudicato. Tra prescrizioni e morti è difficile che si arrivi ad una parola che, comunque non sarebbe definitiva come non lo sono le baggianate.
Ed, allora, dobbiamo domandarsi a che sarà servita questa interminabile sceneggiata di Palermo. Qualcuno si sarà posto questa domanda quando avrà messo in piedi questa baggianata? Dati certi soggetti può darsi di no.
Ma oggi non mancherà qualche impudente imbecille che proclama che tanta fatica, tanto denaro speso “tante esperienze acquisite” “non debbono andare sprecate” e che, se il processo non finirà per punire i colpevoli di un qualcosa, dovrà essere servito per farci conoscere qualche grand’uomo da “premiare”. Dopo le cittadinanze onorarie qualcuno, consultandosi preventivamente con Ingroia presenterà il conto da pagare.
Da arrestarlo sul fatto! Ma basterebbe rivoltare contro di lui il grido di battaglia che già fu del suo “alleato”.
Al mio paese dicono: “quanno ce vo’, ce vo’!”.
Mauro Mellini