L’articolo di venerdì 13 aprile “Pseudodemocrazia: il vantaggio dei cretini”, così come sembra dalle approvazioni e condivisioni dei lettori (che è una forma di preziosa collaborazione da cui ricavare importanti elementi di indirizzo), ha avuto un notevole consenso e ha suscitato interessanti riflessioni tra i lettori.
L’argomento, i cretini, ha facilmente ottenuto che quanti, a torto o a ragione, si considerassero “gli altri”, si sentissero in qualche modo spinti, in quanto tali, a dir la loro, a consentire e condividere.
E, già, perché se tanti sono, a giudizio non solo di Leonardo Sciascia, i cretini, non è poi che le persone ragionevoli non esistano o siano introvabili o costituiscano una minoranza condannata a rimanere tale ed a rassegnarsi a doverlo essere.
Questa considerazione finisco sempre col farla da quando, uscito dall’infanzia, adolescente in un mondo di tragedie incombenti e di stupidità tragicomica trionfante, negli ultimi anni del totalitarismo fascista, cominciai ad orientarmi, potendo valermi di qualche lume di persone a me vicine, rare e nascenti espressioni di una razionalità destinata, malgrado tutto a sopravvivere.
Nel 1920-1925, come posso oggi convincermene, provando il fondamento di tale mia convinzione già allora raggiunta, si era avuta l’ascesa al potere di una minoranza brutale, oltre tutto presente ed operante solo nel Nord e nel Centro del Paese. Ma essa aveva conquistato tutto il potere e soppresso ogni diversa espressione politica. La brutalità degli squadristi manganellatori si era rapidamente moltiplicata, ingigantita, andando a sostituire ogni altra presenza politica. Il totalitarismo del regime era espressione di una pressoché totale scomparsa della razionalità, dello spirito di tolleranza, del rispetto dei valori di libertà sui quali e con i quali eravamo divenuti Nazione?
Dove erano finiti, come erano finiti i socialisti, i popolari, i liberali, i moderati (se ne parlava anche allora in mancanza di Berlusconi)? Come era avvenuta la loro conversione? Erano tutti emigrati?
Non sono certo importanti le risposte che allora poteva darne un quindicenne in un ambiente complessivamente poco versato alla cultura ed alle riflessioni di minoranze.
Ciò malgrado, malgrado i limiti culturali e di obiettive informazioni e documentazioni, una convinzione andai allora maturando. Con gli anni e con un po’ meno di ignoranza è divenuta ancora più forte e decisa.
La vera conquista del potere il fascismo la realizzò con l’assuefazione (se così può definirsi) delle altre forze politiche alla sopraffazione. Quanti non erano nè brutali squadristi, né conniventi golpisti “per interposta persona”, ma “moderati”, “ragionevoli”, appartenenti a quella che ancora era la maggioranza del Paese, uomini di pensiero, delle professioni, oltre che i soliti portatori di grossi e non sempre confessabili interessi, benché niente affatto portati alla violenza, benché, magari, pieni di repulsione per lo squadrismo e la distruzione, operate localmente delle libere istituzioni, scelsero (o si comportarono come se la scelta l’avessero fatta) la violenza fascista per evitare il peggio, vollero convincerci della sua temporaneità, del fatto che sarebbe scomparsa assieme alle cause che l’avevano suscitata e fatta espandere. Si allearono con i fascisti, giustificandosi col dire che, così, ne favorivano un’evoluzione verso la moderazione e la concretezza dell’azione politica.
Riandare a quegli eventi, a quegli errori è cosa terribile: non c’è nemmeno bisogno di sottolineare il parallelismo con quanto avviene oggi.
Naturalmente questa “speranza moderata” (o moderazione speranzosa) ha poi mascherato molti autentici e puri e semplici voltagabbana. Ma essa è pericolosa ed equivoca in sé.
La storia, mi direte, non si ripete.
Ma si ripetono gli errori, le situazioni pericolose e le sciocchezze di quelli che, bene o male fanno la storia.
Non è questa una lezione di pretese “leggi” (!!) storiche, che, del resto non esistono, ma è un accorato allarme di uno che, senza pretese di interpetrare il passato, non può fare a meno di rimestare nei ricordi di quello che ha vissuto o che ha percepito come ancora recenti.
A parte ciò, un appello alla responsabilità di coloro che cretini ed ignoranti non sono. La responsabilità di capire di poter fare. La responsabilità di non essere cretini.
Chi ci dice oggi, dato per scontato che cretini non siamo, di chiudere un occhio sulla cretineria altrui in nome della moderazione e della necessità di fare un governo, magari un po’ cretino ed incivile, occorre rispondere che altra è la responsabilità di chi capisce e sa. Non quella di adeguarsi agli imbecilli.
La “moderazione” nell’accettare la rozzezza e l’ignoranza è una forma di inconcepibile giuoco d’azzardo. Anzi, peggio perché porta solo a perdere ed esserne travolti.
Mauro Mellini