LA “MORDACCHIA” AD ARNONE
Mentre su tutta Italia incombe il mesto e sciagurato inizio di una stagione politica di regresso e di immiserimento morale e materiale, ad Agrigento, metafora della Sicilia, a sua volta metafora dell’Italia e non solo dell’Italia (“La Sicilia come metafora” uno degli ultimi scritti di Leonardo Sciascia), si conclude, almeno così sembra, la vicenda di un personaggio da operetta che proprio in uno scenario di una tale metafora ha potuto avere un ruolo ed una storia che non fosse solo quella della criminologia e magari della scienza della psicologia anomala.
Avevamo già scritto della ridicola ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Palermo, che, statuendo circa il trattamento alternativo ad una pena di un anno e quattro mesi di reclusione per il reato di calunnia cui era stato condannato un anno prima il noto “ecologista” (questa la qualifica che più frequentemente si attribuisce), avvocato (sissignori, ancora tale) Giuseppe Arnone gli ha concesso il trattamento alternativo, ma praticamente sostituendosi arbitrariamente al Giudice del Merito ed alla legge (che tale benefico avrebbe impedito avendo egli “consumato” in una lunga serie di precedenti la possibilità di fruirne) concedeva una sorta di “condizionale”: purchè si astenesse dal compiere nuovi reati della stessa specie (diffamazioni, calunnie, minacce etc.) dettandogli poi le modalità di esercizio della professione di avvocato, dalla quale gli Organismi dell’Ordine si sono dimenticati di espellerlo, fissando gli orari di studio etc. etc. nonché l’obbligo di esercitare tale professione senza aggredire nessuno.
Il ridicolo di tale ordinanza era ed è però rappresentato dal fatto che l’affidamento in prova così bislacco per le condizioni (si fa per dire) imposte, avveniva mentre il condannato dava già la prova di un inesauribile capacità e tendenza a commettere diffamazioni e calunnie d’ogni genere, vomitando improperi ed attribuendo reati a magistrati, funzionari, uomini politici etc., con pubbliche manifestazioni con striscioni, manifesti, dichiarazioni alla stampa.
Non ho potuto fare a meno di scrivere, come certamente molti altri non hanno fatto a meno di pensare, che i lontani precedenti di “ispiratore di giustizia” (una categoria un po’ più elevata di quella di questo “collaboratore di giustizia” della nostra disgraziata epoca), che l’Arnone ha meritato in altri tempi, guidando la locale magistratura a fare la sua parte in uno sciagurato manipulitismo che ha portato danni incalcolabili alla Città, attribuisce tuttora privilegio di pratica immunità a questo nuovo esemplare di “Famigliare dell’Inquisizione”, malgrado le diecine (pare oltre un centinaio) di processi, condanne, denunzie, etc.
Ma a distanza di qualche settimana, lo stesso Tribunale dell’Esecuzione di Palermo si è riunito per riesaminare il “caso Arnone”. Non per revocare l’affidamento in prova per le numerosissime e plateali violazioni degli obblighi impostigli con la generosa e bislacca ordinanza, ma per modificare il contenuto delle “condizioni”. Ciò a seguito di un motivato e severo ricorso di un Consigliere di Stato agrigentino, già compagno di scuola ed amico del furibondo “condannato in prova”, nei confronti del quale proprio nei giorni della precedente ordinanza ed in seguito, l’Arnone era andato a vomitare improperi, minacce e calunnie anche a Roma con il solito sistema di cartelloni, manifesti, etc.
Che dice la nuova ordinanza?
Essa contiene un “aggravamento delle condizioni” (quindi, niente revoca dell’affidamento) ma, poiché già la prima gli vietava di commettere reati, (quali quelli lamentati dal Consigliere di Stato) l’”aggravamento” è consistito nel divieto di valersi di ogni mezzo di comunicazione entrando nei particolari. Niente cartelli, striscioni, manifesti, post su internet, niente ricorso ad interposte persone (se ne era già avuto un certo esempio).
Prima di incominciare a tacere il furibondo avvocato ha lanciato un grido di dolore per i suoi diritti costituzionali di libertà di parola e di espressione del pensiero conculcati, lamentando in particolare il fatto che si vuole impedirgli anche di scrivere libri. (Ne ha scritti varii sempre insolentendo qualcuno).
Messa così bisogna ammettere che, almeno “prima facie” non sembra che l’ecologista (che ha fatto a tempo a lanciare un appello agli elettori perché votassero “5 Stelle”, dopo aver severamente diffidato i partiti della Sinistra a cambiar registro!!!) non abbia poi tutti i torti. Perché gli si vuole interdire, così sembrerebbe, l’uso e gli strumenti della comunicazione del pensiero.
Ma, in realtà quegli “strumenti mediatici” fino all’ultimo minuto prima che la nuova ordinanza gli fosse notificata, li ha usati irrefrenabilmente per ingiuriare, diffamare, calunniare. Tutte attività che dovrebbe comportargli delle pene non solamente intimate, ma applicate. In altre parole il problema non è quello di farlo star zitto, ma quello di metterlo (cioè di non avercelo messo già da tempo) dietro le sbarre.
Ed a questo punto il “Caso Arnone” diventa la metafora di un sistema non solo giudiziario.
Per impedire che ne faccia cattivo uso (evenienza che nel caso del nostro Ecologista è tutt’altro che astratta, anzi non è nemmeno una evenienza, ma una certezza) si fa ricorso all’elencazione dell’interdizione di una serie di “mezzi di comunicazione” usati e da usare al riprovevole fine.
Hanno fatto ad Arnone dei bellissimi favori, al punto di farlo apparire (almeno) come un privilegiato. Poi, con quei riferimenti puntigliosi a tutti i mezzi di comunicazione, sembra vogliano mettergli (e, in pratica gli mettono) la “mordacchia” (per chi non lo sapesse era un lugubre aggeggio che applicato alla bocca dei condannati al rogo impediva loro di pronunziare parole peccaminose prima di essere arrostiti).
E’ per questo che il “Caso Arnone” attrae ancora la nostra attenzione (ci occuperemmo assai più volentieri della responsabilità di quanti gli hanno consentito di farsi giuoco di Agrigento e di produrre ai suoi concittadini danni di molti milioni).
La mordacchia ci fa orrore.
Non tanto e non certo quella che Arnone dice gli è ora imposta.
Ma orrore vero lo provoca la tendenza, che non è tanto e solo del Tribunale dell’Esecuzione di Palermo, a mettere la mordacchia e privare delle possibilità di esprimersi cittadini che “altrimenti” ne farebbero cattivo uso. Magari gabellando come generosa umanità il fatto di non metterli dietro le sbarre quando pure commettono, magari in serie, gravi reati.
Ecco: la metafora di Agrigento ci suggerisce questa riflessione che, purtroppo non è di pura fantasia.
Mauro Mellini