Mi è capitato tra le mani lo stampato di un articolo pubblicato su “Antimafia 2000”, il quotidiano on line del Guru Bongiovanni, quello con la croce dipinta sulla fronte, giornale che Ingroia definiva “organo ufficioso della Procura di Palermo”.
Ma non solo di quella di Palermo. Direi, piuttosto di tutta l’ala estremista e folkloristica del Partito dei Magistrati.
Il titolo del pezzo è bello: “La vera sfida è contro la cultura degli inganni”. Lì per lì non vedo il nome dell’autore lo scritto è assai piccolo e poco in risalto. Ma c’è quella che credo sia la sua foto: una faccia diffidente, uno sguardo corrusco, una barba alla moda ma anche un po’ risorgimentale.
Si vede, non so da che, che è un magistrato. “Di lotta”, naturalmente.
Incomincia con una affermazione che lì per lì sembra ragionevole: “non possiamo più correre il rischio, quando si parla di mafia, di accettare dogmi e precomprensioni (???)”. Che, poi non è una espressione tanto chiara. Il rischio non è quello di accettare dogmi e “precomprensioni”, ma quello di fare e dire cavolate basandosi, appunto su dogmi e “precomprensioni”, dica quel che voglia dire questo neologismo.
Ma è quel “non più” che preoccupa. Perché sembra dare per scontato che dogmi e “precomprensioni” abbiano avuto il loro tempo, siano stati accettabili e “positive” fino ad ora. Ma si tratta del solito grido di lotta di battaglia: non è più tempo di poltrire, non è più tempo di dubitare, non è più tempo di trastullarsi. Dai tempi di Tirteo è uno strumento retorico usato ed abusato.
Ma quel che è veramente allarmante è il proseguo, quello di cui ora “sarebbe il tempo”.
E’ allarmante, più che la retorica, il contorcimento degli “strumenti retorici”: “la giustizia si alimenta di azioni autorevoli (??) e decise (??)…e poi: “il giudice è tanto più forte (!!) quanto più è ampia la sua capacità di conoscenza che consente di aprire amplissimi spazi alla correlata libertà di giudizio…”.
E poi: “il moderno contrasto ai sistemi criminali passa anche e soprattutto sulla nostra capacità di comunicare che la forza dello Stato va oltre il semplice contrasto del simbolismo mafioso”. Ahi! Ahi! se questa è la capacita di “comunicare…!!!”.
Ed ancora: “Oggi siamo chiamati a colpire in profondità la loro capacità di veicolare i loro valori antidemocratici, spezzando i loro circuiti informativi… (???) in grado di alimentare dinamiche criminali sempre più evolute”.
E più oltre: “Oggi siamo chiamati a rinnovare la determinazione…consapevole che la forza della legge diventa dirompente…nel momento in cui la sua concreta applicazione sia preceduta dalla comprensione profonda del linguaggio spesso simbolico, allusivo, gestuale di tutti coloro i quali determinano realmente le sorti delle strutture mafiose così ampie, complesse ed evolute”.
Attenzione al “linguaggio gestuale” potreste trovarvi a rispondere come responsabile di complesse strutture mafiose al dott. Giuseppe Lombardo (già perché, poi, ho visto che è lui l’autore di questo articolo sul giornale del Guru).
Ci sarebbe da aggiungere dell’altro, e molto, perché il Nostro Procuratore Aggiunto di Reggio Calabria (neonominato: auguri!!) se la mena così per due lunghe pagine.
Conclude con un appello che ha un vago sapore elettorale all’”impegno di tutti quelli che hanno scelto di contribuire alla crescita di una comunità nazionale che si indentifica (ahi! ahi!) negli alti principi antimafia della nostra Carta Costituzionale”.
Che la Carta Costituzionale, che tutti tirano e stiracchiano dalla loro parte facendone così una delle cose più bistrattate che si possano immaginare, contenesse “alti principi antimafia” non l’avevo proprio mai sentito dire. Ma, già, non dovrei accettare “precomprensioni” anche della Costituzione…!!!
Lo stile. Non c’è che dire, questo del dott. Giuseppe Lombardo è uno stile tipico. C’è D’Annunzio, filtrato attraverso i suoi imitatori di mezzo secolo.
Una quantità di aggettivi, tantissimi termini astratti, una vaghezza eccezionale nell’invocare “concretezza”. Non è uno stile nuovo.
Mi ricorda tempi lontani. Quando nelle scuole venivano letti gli esempi della “nuova letteratura”: gli scritti dei vincitori dei “Littoriali”, i certami culturali della giovane “generazione fascista”. Tra quei vincitori qualcuno ha fatto carriera nella Repubblica Democratica.
Ecco, Giuseppe Lombardo scrive come un “Littore”. Avrebbe vinto lui.
Solo che non c’erano i littorali dell’Antimafia.
Mauro Mellini