Agrigento – Potrebbe sembrare la più classica delle storie di un “sugar daddy” (come vengono definiti gli uomini che stanno con donne più giovani di loro, facendo leva sul “fascino” di una condizione economica allettante) vittima di una donna, F.A., che lo avrebbe sposato. Un matrimonio “forzato” dall’ingerenza dei familiari della donna. Un’imposizione alla quale il malcapitato G.R. non si sarebbe potuto sottrarre. Se la difesa fosse questa, non ci troveremmo dinanzi nulla di diverso dalle tante storie che quotidianamente ci vengono narrate o che finiscono con l’arricchire la cronaca giudiziaria dei quotidiani locali. Nulla di strano – specie nell’immaginario collettivo – specie se la donna è una straniera che ha sposato un italiano dal quale la separano una ventina di anni d’età.
Del resto, fare la mantenuta – tanto più se si è moglie e non quindi nel ruolo dell’amante – è una possibilità che anche donne occidentali potrebbero prendere in considerazione. Perché dunque meravigliarsi se una donna straniera dovesse rinunciare a quell’indipendenza ed emancipazione che forse nel paese d’origine non ha mai neppure avuto? Dunque, quantomeno a livello teorico, la narrazione della visita del nostro G.R. in Tunisia, laddove si lascia irretire dalla giovane F.A., non fa una piega.
Diverso il livello pratico, visto che la storia tra G.R. e F.A. approda alle aule giudiziarie, sia in sede civile con una causa di separazione, sia in sede penale presso il Tribunale di Agrigento, dove il 22 febbraio l’uomo dovrà rispondere dell’accusa di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali, aggravate dall’essere state commesse per eseguire un altro reato.
Infatti, secondo il Pubblico Ministero che ne ha chiesto il rinvio a giudizio, G.R. con numerose e reiterate condotte sottoponeva la moglie, F.A. a maltrattamenti di natura fisica e psicologica tali da cagionarle penose condizioni di vita, offendendola con espressioni volgari e ingiuriose che per rispetto dei nostri lettori ci rifiutiamo di riportare.
Inoltre, nel periodo dal 17 settembre 2012 al febbraio 2013, l’uomo si sarebbe allontanato dall’abitazione coniugale, facendo mancare i mezzi di sostentamento alla propria compagna. Il Pubblico Ministero, nella richiesta di rinvio a giudizio riporta – in danno della F.A. – ulteriori ingiurie, minacce, e percosse che avrebbero causato lesioni personali consistite in trauma policontuso con trauma cranico facciale.
Il prezzo da pagare per una donna che senza un uomo a stento potrebbe sopravvivere? Un tempo, il prezzo da pagare poteva essere quello della sottomissione, talvolta dei tradimenti. Ma parliamo di rapporti di coppia normali, non certo di quelli dove la donna fa affidamento alle congrue capacità economiche del suo “sugar daddy” che le può garantire un elevato tenore di vita. Auto, gioielli, viaggi e quanto altro? Del resto, cosa si può voler di più dalla vita? L’agiatezza val bene pure il sacrificio di dover subire qualche piccolo sopruso che non finisce certo con il guastare in modo irreversibile la piacevole atmosfera del focolare domestico.
Sarà pure così, ma se il Tribunale dovesse giudicare tenendo conto di quanto accaduto nel corso della causa di separazione, la vicenda prenderebbe ben altra piega. Una separazione che in primo grado ha visto G.R. soccombere alla richiesta di alimenti da versare alla moglie, ma che lo ha visto vincere il ricorso presso la Corte d’Appello di Palermo, nel 2015. Tra i motivi della decisione, preliminarmente va evidenziata la contumacia della F.A. con il primo e unico motivo di gravame, G.R. ha lamentato che il Tribunale avrebbe errato nel disporre la corresponsione dell’assegno di mantenimento e che comunque lo avrebbe determinato in maniera eccessiva e incoerente rispetto la capacità di reddito dell’uomo.
A tale motivazione, segue il calcolo delle possibilità economiche dell’uomo, stante le quali non potrebbe assolutamente permettersi di contribuire in alcun modo alle necessità economiche della moglie, tanto più che questa, sempre secondo quanto riportato nelle motivazioni della Corte d’Appello di Palermo, può godere di un’apprezzabile capacità economica e lavorativa.
Ma v’è di più. La Corte di Appello non manca di rilevare come durante il rapporto matrimoniale la F.A. esercitasse un’attività lavorativa che le consentiva di supportare economicamente il marito, già a partire dal periodo immediatamente successivo al matrimonio, celebratosi in Tunisia nel 2008.
Questo uomo vessato, che quindi solo per puro masochismo, viste le minacce alle quali era soggetto, nei quasi due anni precedenti al matrimonio si recava in Tunisia a trovare la sua futura moglie, avrebbe finito con il ritrovarsi una donna che svolgeva umili attività lavorative per mantenere la famiglia. Attività lavorative senza le quali sarebbe stata persino messa in dubbio la possibilità di alimentarsi regolarmente nel corso di tutto il mese. Certamente un caso e, altrettanto certamente, non voluto dal coniuge.
Ahi ahi ahi… però che delusione… ma come, non eravamo in presenza di un “sugar daddy”, della sua agiatezza, delle mire di una donna e dei suoi familiari desiderosi di metter le mani sul Paperon de Paperoni che avevano costretto al matrimonio? Un matrimonio imposto. Un’intera famiglia che, immaginiamo, presa a discutere e progettare l’affare del secolo, quello che permetterebbe a più generazioni di sistemarsi economicamente. Un’intera famiglia? Di più, sicuramente un summit al quale prese parte anche l’allora presidente Ben Ali. Un affare di Stato… Però, e qui il però ci sta, perché oltre al matrimonio al Sig. G.R. non fu imposta la comunione dei beni, visto che dal certificato matrimoniale risulta il regime di separazione? Peccato, l’affare di Stato non si sarebbe comunque realizzato in ogni caso…
Neppure è ipotizzabile che la donna abbia voluto contrarre matrimonio con G.R. al fine di garantirsi il permesso di soggiorno. Se così fosse stato, si sarebbe informata e trascorsi appena tre anni avrebbe avuto diritto alla carta di soggiorno a tempo indeterminato. Carta di soggiorno a tempo indeterminato che allo stato attuale, nonostante gli anni di matrimonio che ne avrebbero sancito il diritto, non possiede…
Fatto salvo che il virus della dabbenaggine non ci abbia colpiti tutti, chiunque direbbe: Delle due l’una: la F.A. ha irretito il buon Signor G.R. mirando alla sua agiatezza (si fa per dire, visto che stante la sentenza di separazione si evince tutt’altro) e G.R. ha dichiarato il falso e alla moglie la Corte d’Appello avrebbe dovuto riconoscere l’assegno di mantenimento; oppure G.R. sta dichiarando il falso al processo che lo vede imputato presso il tribunale di Agrigento.
A completare quella che appare più una novella di Pirandello che una storia umana con risvolti giudiziari, la contumacia della F.A. all’udienza in Corte d’Appello di Palermo.
Quel giorno, a non presentarsi in udienza, fu l’allora avvocato della donna, il quale non avvisò la sua assistita e neppure si premurò di inviare un suo sostituto. Indiscrezioni vogliono che il noto professionista agrigentino fosse impegnato… anche lui in un viaggio in Tunisia…
Chissà, forse una maggiore padronanza della lingua italiana e conoscenza dei propri diritti da parte della F.A., avrebbero potuto portare – oltre al marito – anche l’allora suo legale di fiducia a frequentare le aule del tribunale… e non per ragioni professionali ma solo a conseguenza delle stesse…
E’ dunque così facile prendersi gioco della magistratura narrando verità altalenanti, in palese contrapposizione, secondo circostanze e convenienze? O un Giudice può decidere – a prescindere dalla nazionalità dei convenuti o altro – di pretendere che emerga una verità, e una soltanto, per ristabilire quantomeno il rispetto per chi chiamato a emettere un verdetto? Una risposta a queste domande, forse, potranno darcela le prossime udienze.
“Possiamo sempre fare qualcosa: massima che andrebbe scolpita sullo scranno di ogni magistrato e di ogni poliziotto.” E non siamo noi a dirlo, sono parole di Giovanni Falcone…
Gjm