L’ex “vice di Pepé Arnone”, Mimmo Fontana, “esponente” di Legambiente, in realtà da lui messa a disposizione dell’ecoavventuriero per consentirgli di esser “parte civile” negli innumerevoli, più o meno scombinati processi con i quali quest’ultimo ha imposto un sistema di intimidazione alla Città di Agrigento, è stato condannato martedì 30 gennaio dal Tribunale di Agrigento a sei ani di reclusione per omicidio colposo plurimo.
Dirigente della riserva naturale di “Maccalube”, in concessione a Legambiente presso Agrigento, una località in cui sono in continua eruzione una quantità di “vulcanelli” che emettono fango, gas, materiali vari solforosi etc., non aveva provveduto alle minime misure di salvaguardia dell’incolumità dei visitatori del singolare fenomeno eruttivo. Due bambini, in visita con i genitori avevano perso la vita per una forte “esplosione” di un “vulcanello”.
Giorni fa l’architetto Mimmo Fontana, che dopo il tardivo divorzio di Legambiente con il già pluripregiudicato Arnone, era stato “imbarcato” nella Giunta Comunale del Sindaco di Agrigento, Firetto, si era dimesso dalla carica “per motivi di famiglia”, cioè per l’imminente, oramai certa condanna che, di fatto è poi intervenuta.
Abbiamo già avuto modo di illustrare, sia pure sommariamente, il ruolo complice avuto da Fontana e da Legambiente nell’imperversare parossistico dell’(ahimè) avvocato Giuseppe Arnone, nella persecuzione di galantuomini, nell’imbastitura, recepita supinamente da qualche magistrato palesemente incapace, di fantasiosi megaprocessi, nella strenua lotta contro la costruzione di un depuratore (tutti assolti, alla fine, gli imputati dei reati più azzardati e fantasiosi) e nell’imposizione dell’incredibile inutilizzazione di quell’opera (dovuta per legge), con conseguente inquinamento della spiaggia.
Bei precedenti davvero per conferire al sia pur “subordinato” (per sua scelta e convenienza) di un complice (di tale sciagurato energumeno) l’Assessorato all’Ambiente.
Ma non avremmo speso una parola per dare questa notizia di cronaca e ripetere il già noto, se non fosse perché il luttuoso incidente che è la tragica riprova di un modo di concepire le “riserve naturali” in concessione a certe associazioni “ambientaliste” e la coincidenza con la oramai non ulteriormente dilazionabile carcerazione del “padre padrone” di Legambiente ad Agrigento, non avesse imposto, in realtà ad altri e molti, prima che a noi, di cominciare a fare il punto con la questione di queste sedicenti associazioni ambientalistiche, così spesso coinvolte in storie di malagestione delle “riserve naturali” (e di ancor peggiori storie sulla scelta delle località da sottoporre ai relativi vincoli!!!) che, poi vivono della sciagurata facoltà ad esse concesso di costituirsi parte civile in processi che talvolta hanno con l’ambiente (naturale) ben poco a che fare e molto, invece, con altri “ambienti”.
La costituzione di parte civile di “associazioni esponenziali” che hanno, di fatto, il solo compito di andarsi ad appropriare giudizialmente di parte del magro bottino risarcitorio sottraendolo a vere vittime, è una delle sciagure imposte nella disastrata giustizia italiana dalla logica perversa della “giustizia di lotta” e dalla subcultura di Sinistra. Un non senso della architettura del processo penale e nella definizione di quelle che dovrebbero essere “questioni civili inerenti al danno”.
Il Codice di Procedura Penale del 1989, probabilmente in un mal concepito tentativo di rimediare ad una prassi dilagante, ha introdotto una curiosa e ridicola figura: la “costituzione di parte”, (né civile, né incivile!!!). Ma questa novità, anziché sostituirsi alla lucrosa partecipazione, al risarcimento di associazioni assieme (ed a danno) alle vere vittime, si è andata ad aggiungere alla “costituzione di parte civile”. Niente risarcimenti, ma un po’ di soldi agli avvocati di una “parte” inqualificata e inqualificabile. Bisogna dire che da questi interventi di associazioni a solo beneficio (eventuale) dei loro Avvocati sono rimasti assai poco praticati.
Meglio andare a mordere i brandelli di quel tanto che può ritrovarsi con il “risarcimento del danno” (altrui).
Probabilmente queste mie opinioni, espresse senza peli sulla penna, mi procureranno espressioni di insofferenza di avvocati di una certa categoria. Sarebbe una prova che non ho affatto torto.
Mauro Mellini
01.02.2018
P.S. In un giornale online locale, leggo con la notizia della condanna di Fontana, la formula di quello che sarebbe stato il capo di imputazione.
Spero si tratti di un madornale errore del giornalista. Benché si fosse in presenza di un caso che può considerarsi la classica “ipotesi di scuola”, esso sembra redatto, con tutto il rispetto per le categorie, da un sarto o da un pasticcere, così da apparire grottesco e, magari, ridicolo. Questo non importa nullità processuali, che sarebbero state “sanate”. Ma non sarebbe sanabile tanta incapacità ed approssimazione.