L’orrore, la repulsione per le discriminazioni razziali io non li ho concepiti dopo la fine del fascismo. Nella mia Famiglia se ne parlava e si era certi che si stava consumando la strage degli Ebrei fin dai primi anni di guerra. Sapevamo, Udivamo spesso mio Padre parlare con angoscia del pericolo in cui versavano alcuni suoi amici Ebrei e tutti gli altri. Sapeva, come chiunque altro che non volesse non sapere.
Ma la coscienza della complessità, delle complicazioni, delle questioni razziali io l’ho acquisita in un preciso giorno, durante l’occupazione nazista, sentendo il racconto di un contadino che, rischiando la sua pelle, aveva dato ricetta a due prigionieri di guerra americani, fuggiti l’8 settembre da un piccolo concentramento nelle vicinanze. Uno di loro era bianco, l’altro nero. Pare che, dovendo traslocarli in un altro fondo, per il primo aveva progettato di fargli attraversare il paese, dietro un asino. Senza parlare, dicendo ogni tanto alla bestia: ah! ah! Ma al secondo aveva detto di non poter fare altrettanto. Avrebbe dovuto fare un lungo giro. Questi si era “ingrugnato”, l’aveva presa male. Ed il suo compagno bianco aveva spiegato al contadino che l’aveva offeso. “Offeso perché? – Perché gli hai detto che è nero! – E che è bianco?” gli aveva risposto ed ancora si domandava il brav’uomo. Dei tre, mi resi conto in seguito, il meno razzista di tutti era il mio compaesano. Che si era beccato i rimbrotti, per lui incomprensibili, dei suoi beneficiati.
Sentendo parlare oggi, a distanza di tre quarti di secolo, di questioni razziali, ma assai spesso a vanvera, mi torna alla mente la storia di quel terzetto. Ed il tentativo di mio Padre, cui era stato fatto quel racconto dal protagonista, di convincere questi a non farsi carico del problema di un paese così lontano e diverso. Fatto senza troppa convinzione.
Ci ho ripensato anche di fronte al putiferio per la infelice frase di Fontana.
Ma, quale che sia l’antipatia per il soggetto, di cui so solo che è un seguace di Salvini, l’episodio in sé impone l’uso della ragione nel prendere atto degli equivoci alla base di questa polemica.
Fontana o Salvini mi pare difficile negare che, oltre alla strumentalità preelettorale, il coro di proteste sia, in sostanza espressione aggiornata del detto di una volta “ha detto male di Garibaldi”.
Espressione, questa, passata di moda e pressoché incomprensibile per i meno vecchi. Ma che può riassumersi così: il pregiudizio sul pregiudizio.
Di fronte a frasi “politicamente scorrette” secondo gli andazzi di un’epoca, l’ostilità, la diffidenza, la censura per un pregiudizio (oggi quello razziale, ieri quella clericale, legittimista, antirisorgimentale) sopravviene e si impone un altro pregiudizio.
L’orrore per il pregiudizio razziale, arriva così alla sciocchezza di un opposto pregiudizio, per il quale il solo fatto di parlare di razze, della loro esistenza, sarebbe razzismo.
E’ il pregiudizio che portava al rimprovero al bravo e generoso mio compaesano, che aveva detto (per aiutarlo, salvarlo) all’americano nero di essere nero.
Ma a ben vedere non è solo la negazione della esistenza delle razze umane ad essere una solenne sciocchezza. Del resto è la stessa Costituzione della Repubblica (art. 2) che affermando la libertà e l’uguaglianza di tutti i cittadini a prescindere dalla differenza di razza, dà atto della esistenza di razze.
La legge attualmente in vigore punisce, e non lievemente, la pubblica affermazione della superiorità di una razza sull’altra o le altre.
Proposizione pericolosa, come tutte le pur necessarie censure penali di certe proclamazioni. Perché se l’affermazione della superiorità delle caratteristiche razziali di un popolo “uber alles” è odiosa e potenzialmente razzista, il riconoscimento che alcune razze possiedano capacità fisiche e forse anche psichiche indiscutibilmente superiori alle altre in determinati campi, è verità incontestabile: basta guardare i risultati di tutte le maratone e corse su lunghe distanze, nelle quali i Kenioti non hanno rivali.
Se le razze umane esistono non si può escludere che una o più di esse corra il rischio di estinzione. E se ci possiamo preoccupare del fatto che le tigri sono in via di estinzione, a maggior ragione possiamo e dobbiamo preoccuparci del fatto che lo siano, che so, gli Eschimesi o qualche altra razza umana.
Sciascia direbbe che l’unica razza che sembra inestinguibile è quella dei cretini. Ed è be nota (e dolente!) la frase che “le madri dei cretini sono sempre incinte”.
Di qui a sostenere che, a seguito delle migrazioni di massa di questi anni la razza bianca sia “a rischio” ce ne corre. Ma è questione di valutazione.
Ma se da un contesto di attualità politica passiamo a quello di valutazioni ed ipotesi antropologiche, non vedo perché non potrebbe prendersi in seria considerazione l’ipotesi di una simile estinzione in un periodo certo assai lungo, ma non tale da sfuggire anche ai calcoli di antropologhi seri.
Detto tutto questo e ferma la constatazione sulla inestinguibilità della razza dei cretini (di cui però mi guarderei bene accettare che debba costituire reato negarla) mi pare che, ancora una volta, pretendere di combattere le cattive proposizioni politiche, le opinioni ancorché aberranti, lo scandalizzarsene implichi se necessariamente l’esortazione al linciaggio, per vietare di consegnare convincimenti, ancorché, distorti e cretini, ciò è da respingere.
Solo l’immediata esortazione a concreti atti di violenza e di lesione dei diritti di chicchessia dovrebbe, al più, essere considerato reato.
Mauro Mellini