L’esito delle elezioni siciliane ancora una volta impone di riflettere sul valore di autentico ammonimento insito nell’espressione di Sciascia: “La Sicilia come metafora”.
Elezioni con qualche vinto e nessuno vero vincitore. Elezioni che danno voce allo sconforto dei Siciliani ma non, o, almeno, non sensatamente, alla loro rabbia.
Un primo, incontrovertibile dato: quel 36% dei votanti, quel primato negativo, è espressione di sconforto non solo per quanto è avvenuto ed avviene nell’Isola, ma anche, ora per allora, per quanto sta per avvenire in Italia alle prossime elezioni politiche del 2018.
Quel 36% oltre al significato in sé, segna anche il valore delle percentuali di voto di quelli che ritengono di aver vinto e, soprattutto, di quelli che sicuramente hanno perso. Sicuramente ha perso, rovinosamente il P.D. il cui 18% va, in effetti ridotto perché è il 18% del 36% del corpo elettorale. La consistenza di quanti in Sicilia ancora seguono il partito che ha avuto in mano l’Isola per molti anni, è da 6-7 Siciliani su cento, se non vado errato.
Una catastrofe che gli espedienti ridicoli usati per dimostrare, all’ultimo momento, che il P.D. con Crocetta, il buffonesco Presidente, il peggiore mai esistito o immaginato, non sono valsi ad evitare né ridurre. Il marchingegno delle liste di Crocetta presentate fuori termine così che servissero solo a falsamente certificare la “diversità” (senza sottrarre però nemmeno un voto) al P.D. è stata l’ultima sconcia buffonata.
I Siciliani hanno votato contro il P.D., il P.D. di Crocetta e dell’incapacità di impedire le malefatte di Crocetta. Ma anche il P.D. del tentato colpo di mano contro la Costituzione già liquidato un anno fa; il P.D. del Rosatellum e delle sue incredibili manipolazioni del diritto al voto “diretto e segreto”.
Il P.D. esce in Sicilia ridotto ad un partitino costituito da una grossa e scandalosa clientela. E manco tutta.
E gli altri? Se il P.D. ha straperso, gli altri non hanno vinto. Non c’è stato un vero voto alternativo. L’elettorato non si è posto seriamente la questione della sostituzione, del P.D. e di Crocetta. Stando come stavano le cose non potevano fare diversamente. Il partito alternativo, alternativo alla retorica bolsa, falsa e ladra di un’antimafia mafiosa non c’era e non si poteva votare. E non c’era chi avesse svolto una vera opposizione a Crocetta. Le mozioni di sfiducia contro il suo governo mancavano sempre di una firma per essere ammissibili e mandare a casa Crocetta, ma anche la cosiddetta opposizione.
Un’opposizione che si era voluta godere le poltrone fino all’ultimo giorno.
Il Centrodestra ha, paradossalmente, ottenuto un risultato più rilevante nel contesto nazionale che in quello siciliano. Ha ottenuto il segnale della ripresa ed è oggi il vero antagonista dell’antipolitica grillina, estromettendo da tale ruolo il partito di Renzi, che pure aveva cercato di “tagliar l’erba sotto i piedi” ai Cinquestelle, assumendone esso stesso le posizioni populiste.
Il Partito dei Magistrati ha perso quel tanto di dominio diretto e clientelare che gli assicurava la presenza di un Crocetta a Palazzo d’Orleans. Il progetto di Ingroia (“è ora che i 5 Stelle escano dall’isolamento..!!”) svanisce, ma l’azione d’intromissione politica della magistratura non verrà meno certamente.
Si allontana l’obiettivo della corrente estremista che voleva il potere tutto e subito.
Ma probabilmente l’oppressione della mafia dell’antimafia, delle “misure di prevenzione”, delle “interdittive” dei Prefetti, la sciagurata devastazione dell’economia e della libertà dei Siciliani continuerà.
In questa campagna elettorale poco è stato utilizzato lo strumento retorico della “lotta alla mafia”.
Tutto ha un limite ed una fine. Ma non è stata fatta valere neppure la voce della rivolta alla tirannia giudiziaria, al potere delle Procure sulle Amministrazioni, al “pizzo” pagato da tutta l’Isola, agli “imprenditori antimafia” mafiosi e parassiti.
Per questo, se il P.D. ha clamorosamente perso, gli altri non hanno propriamente vinto.
La Sicilia merita altro.
Mauro Mellini