Il Parlamento in corso di fabbrica, tra emendamenti con le previsioni di voto degli ultimi sondaggi alla mano, “esclusioni” ed “inclusioni” calcolate con lo stesso metodo, date del voto già fissate e spostate secondo gli andazzi delle previsioni di mobilità dei voti e soprattutto, le “nomine” dei candidati da parte di partiti inesistenti e, in effetti, di eletti da parte di leaders di ectoplasmi di partiti, sarà, alla faccia, della sentenza della Corte Costituzionale che ci ha lasciato senza una legge elettorale tra l’altro perché quella allora esistente, il “porcellum”, sottraeva agli elettori la scelta delle persone degli eletti, sarà una caricatura così sbracata della “rappresentanza della Nazione” da farla risultare inconcepibile e balorda persino, appunto, come caricatura.
Ricordo che, studente di giurisprudenza a Roma nel 1946, riuscii ad ottenere, con un complicato “giro di amicizie”, un biglietto di accesso alle tribune dell’Aula di Montecitorio, dove allora funzionava la “Consulta Nazionale”, una sorta di prova del ritorno al sistema parlamentare, assemblea costituita da rappresentati di partiti, sindacati, associazioni, ex detenuti politici ed ex parlamentari prefascisti nominati dal Governo. Le elezioni per la Costituente si sarebbero tenute a giugno. Si era alla fine dell’inverno e a quella di un oscuro periodo in cui la libertà civile ed il potere della “rappresentanza nazionale” era stato soppresso e sbeffeggiato. Si guardava ad un futuro che ci consentisse di dimenticare quella e molte altre sciagure. Vedere quell’Aula, tempio, così mi apparve, delle libertà e della sovranità popolare, profanata per un ventennio da una dittatura al contempo feroce e carnevalesca, di cui Mussolini aveva fatto peggio che il “bivacco per le sue camicie nere” mi fece sentire una profonda commozione. Quando vi tornai da Deputato trent’anni dopo non fui altrettanto commosso. Quei signori che, radi ed un po’ impacciati discutevano di cose che mi apparvero anch’esse una simulazione di ciò che si sarebbe dovuto discutere in un futuro oramai imminente, mi parvero un po’ fuor di luogo. Appunto perché erano lì nominati da un Governo e non dal Popolo, per esercitarsi ad una funzione che molti di loro non avrebbe mai avuto.
Oggi, proclamata la Repubblica e stabilita la Costituzione (sfuggita, or’è poco, per volontà del Popolo ad una banalizzante e blasfema manomissione) in quell’Aula si discute una nuova soppressione della rappresentanza popolare ed il ritorno in essa di signore e signori “nominati” neppure da un Governo, bene o male espressione, allora, di un Comitato di Liberazione Nazionale in un momento rivoluzionario e drammatico della nostra storia, ma da altri signori che la sorte e gli intrallazzi hanno posto alla testa di caricature di partiti.
Berlusconi che, almeno, un leader politico lo è stato e che oggi sembra voler assumere il ruolo del “nonno garibaldino” che, una volta, nelle occasioni delle feste nazionali si metteva la camicia rossa, ha dichiarato, ed i suoi giornali ne hanno titolato “pezzi” apologetici: “I candidati li scelgo io”. Con queste leggi è come dire: i Deputati ed i Senatori li nomino io.
Gli altri non sono da meno.
Se ripenso alla mia commozione di quel giorno di fine inverno 1946, compiango me stesso.
E’ difficile sopravvivere. E assai di più trovare ragione per farlo.
Mauro Mellini