Nel silenzio che abitualmente la stampa riserva, più che alle malefatte dei magistrati, al problema istituzionale e politico che esse rappresentano, fa spicco qualche rara eccezione. Mi era sfuggito, e ringrazio il mio amico Mazzufferi che me lo ha segnalato, ricordandomi anche un mio incontro con l’autore dell’articolo, quanto si legge sull’Avvenire del 13 maggio. Il titolo, è già abbastanza significativo “Se il magistrato moralista cerca il processo esemplare”. Ma assai di più è un sommario che gli fa seguito: “Una intera generazione (di magistrati) è cresciuta con l’idea che l’affermazione della legalità fosse come la difesa di una cittadella assediata e anche di qui è nata l’idea del giudice come unico argine contro un potere oscuro e a volte criminale. Con l’idea nefasta di essere superiori al proprio contraddittore”. Proposizione ineccepibile, ma incompleta, come vedremo. Ma, intanto, un altro dato straordinario: autore dell’articolo è un magistrato, Paolo Borgna, che conobbi molti anni fa a Torino e poi, incontrai con piacere in un convegno a Jesi nelle Marche.
Lo scritto di Borgna sviluppa tale concetto e si sofferma sul “populismo giudiziario”, che definisce con le parole di Fiandaca, “un fenomeno che ricorre tutte le volte in cui un magistrato pretende di assumere un ruolo di autentico rappresentante o interpetre dei reali interessi e delle aspettative di giudizio del popolo… al di là della mediazione formale della legge”. “Pretendendo quindi di ricevere la legittimazione al proprio operato direttamente dal consenso popolare…”.
E, rilievo assai importante di un fenomeno gravissimo, il Borgna sottolinea l’errore della pretesa di dover “non soltanto affermare il diritto, ma la giustizia”, come concetto ad essa superiore.
Queste proposizioni sono, lo ripeto, inconsuete oltre che esatte e condivisibili. Inconsuete e tali da suscitare particolare ammirazione (e meraviglia) se si considera che ad affermarle è un magistrato (anche se non so se ancora in servizio).
Detto tutto ciò è riaffermato che le ammissioni del magistrato Borgna sono, più che inconsuete, forse uniche da parte di un componente della categoria e c’è da rilevare che esse non sono sufficienti a delineare la realtà del ruolo assunto dalla magistratura sulla scena politico-sociale italiana.
A parte l’affermazione che gli atteggiamenti denunziati avrebbero avuto origine e, sembra, almeno parziale giustificazione, dalle posizioni assunte dagli esponenti della “politica” (Craxi e Berlusconi) i giudizi pur esatti del Borgna, non vanno oltre fenomeni individuali, già in sé gravi. Non appare, invece alcun riferimento alla assunzione di atteggiamenti e di ruoli sostanzialmente analoghi da parte della categoria come tale e financo delle distorsioni del sistema (penso, ad es., alla assurdità eversiva della giurisprudenza della Cassazione sull’abuso del diritto…).
Certo, molti magistrati sono personalmente immuni dalle pretese denunziate da Fiandaca e da Borgna. Un po’ di meno sono quelli che concepiscono dissenso e riprovazione per tali atteggiamenti.
Non si può fare a meno di rilevare l’assoluta singolarità del comportamento di Borgna che ne fa pubblica denunzia. E’ convinzione generale, tra i magistrati, anche alieni da certi estremismi, della inopportunità di denunciarli e di porre la questione di una adeguata reazione. Lo stesso Borgna pare voler evitare di sottolineare la crisi del sistema conseguente a questi andazzi e la stessa supremazia di quelli che chiama “magistrati-tribuni” nella Corporazione e nella vita giudiziaria. Ignora, in sostanza, l’esistenza di un “Partito dei Magistrati” di cui quella mancanza di reazione alle esorbitanze, ad esempio, palermitane, è conseguenza e prova indiscutibile e di cui esso, in fondo, si avvale. Ma quello è il vero problema.
Giudizi saggi ed acuti come quelli di Borgna sono indispensabili per affrontare i problemi della giustizia oltre che lodevoli ed apprezzabili per più versi. Ma senza prendere atto che c’è un “Partito dei Magistrati” e che bisogna fronteggiarlo ed imporre la sua sconfitta il suo scioglimento, perché intrinsecamente eversivo, ogni discorso sulla giustizia e sul sistema giudiziario è monco ed inconcludente.
Mauro Mellini