Ma che gente è quella che fa il magistrato? E’ un interrogativo in sé allarmante, ma non certo gratuito ed eccessivo. Di fronte a quello che accade tutti i giorni nel nostro Paese senza suscitare la minima reazione di chi avrebbe il dovere di tenere gli occhi bene aperti su tutto ciò, un interrogativo simile è, non solo lecito, ma tale che non porselo è motivo di frustrazione e di allarme ancora maggiore.
Prendiamo il Consigliere di Cassazione, Emiliano. La sua impudenza nello sfidare la legge, il buon senso, i limiti deontologici delle sue professioni è stupefacente. La norma che impone ai magistrati, anche quando sono temporaneamente fuori ruolo, di non iscriversi a partiti politici, se la mette sotto i piedi tranquillamente, anzi, arrogantemente. Non solo è iscritto al P.D., ma ne avrebbe voluto divenire Segretario.
Durante la tardiva e timida reazione del C.S.M. (solo ieri gli hanno contestato di volere, del partito in cui è iscritto, divenire addirittura il Segretario) non ha trovato di meglio che cercar di fare lo spiritoso: “nemmeno fossi il Ministro della Giustizia”. Con allusione, nientemeno, al povero Orlando, di cui non ha esitato a denunziare la “incompatibilità” con l’analoga candidatura alla Segreteria. La norma prevede l’incompatibilità dei magistrati e dà per scontata la possibilità dell’appartenenza ai partiti dei ministri? Beh, è una norma non sbagliata, “incompatibile” con il modo di vedere di un Consigliere di Cassazione. Che, quindi, se ne fotte.
Domani, in Cassazione o, in altra sede giudiziaria equipollente, il Cons. Emiliano potrà andare ad amministrare giustizia. Magari incriminando, come certi suoi colleghi palermitani, lo Stato, colpevole di “erronee” incompatibilità, ma, anche, ovviamente, di collusione, di concorso esterno con la mafia.
A proposito: un altro magistrato, peraltro ex, ma che è, ora avvocato, e sempre “antimafia”, Ingroia, ribelle anche lui alla norma che gli imponeva dopo una candidatura nientemeno che a Presidente del Consiglio in tutta Italia, stabiliva l’incompatibilità di sede quale magistrato nei distretti in cui era stato candidato fuori, quindi, che nel micro collegio di Aosta, si è rifiutato di andarvi a riprendere servizio. Ha dato prova delle sue ferme convinzioni circa la deontologia professionale di giudice e avvocato.
Ingroia difende la Famiglia di un urologo, siciliano, Attilio Manca, morto a 34 anni per una overdose di non so quale droga, forse per suicidio. Ma la Famiglia, vuole che il caro estinto non fosse un drogato, né tanto meno un suicida, ma, sostanzialmente, un mafioso, organizzatore del viaggio del latitante Provenzano a Marsiglia, dove lo avrebbe seguito, per farlo operare alla prostata e che, quindi, sarebbe stato ammazzato con una overdose praticatagli per toglierlo di torno quale possibile testimone incomodo “dell’alone di protezione da parte dello Stato nei confronti del boss mafioso latitante”. Ergo: collegamenti con il processo per la trattativa Stato-Mafia. E, ulteriore conseguenza: specifica competenza dell’avvocato ex P.M. Ingroia che di “assassini di Stato” assai se ne intende, di dimostrare tale assunto.
Ingroia non è più un magistrato. Ma sotto un certo aspetto e per certi personaggi straordinari “semel abbas semper abbas”. Così benché ridotto a fare l’avvocato, Ingroia ha accesso ai segreti nascondigli dei pentiti e riceve profferte di collaborazione da parte di essi. E, unico caso mai verificatosi in Italia, ha potuto valersi della “novità” della assunzione di “indagini difensive” (art. 391 bis c.p.) nell’interesse di parte (la parte della Famiglia interessata a dimostrare che l’”assassinio è di Stato” del congiunto un po’ mafioso) ad “assumere a verbale” nella sede segreta, il pentito Giuseppe Campo, che gli ha confidato di essere stato incaricato di ammazzare il medico Manca, ma che, poi era stato avvertito di non ammazzarlo più perché già altri, nel Continente, vi avevano provveduto, facendo passare la morte per suicidio. E gli avevano raccontato, con la solita loquacità mafiosa, per filo e per segno che l’urologo era coinvolto nella protezione della latitanza di Provenzano e nell’organizzazione del suo viaggio a Marsiglia per farsi operare. Di qui la necessità di eliminarlo per mantenerne il segreto così gelosamente custodito.
In altra sede (verbale pubblicato dalla Gazzetta del Sud) un altro pentito, Salvatore Rugolo, aveva dichiarato di essergli stato riferito che un Generale dei Carabinieri aveva reclutato Manca per assicurare cure, protezione e servizi logistico-sanitari al latitante Provenzano e poi del ruolo dei Servizi Segreti e, naturalmente, della Massoneria, nell’eliminare l’incomodo partecipe-testimone.
Ingroia, inviperito per la condanna di Monica Mileti, detta Monique, che avrebbe fornito al Manca gli stupefacenti che lo hanno ucciso, ha dichiarato che si è tornati a fare i processi come trent’anni fa. Ha però dichiarato che non demorde e che ha motivi di ben sperare. Quando verrà a Roma, alla Procura Nazionale Antimafia il suo amico Nino Di Matteo farà in modo che se ne occupi lui secondo i metodi antimafia moderni. Per questo pare abbia inviato a chi di dovere una richiesta per sollecitare il trasferimento a Roma del suo amico ed ex collega.
Una volta erano i mafiosi che pazientemente attendevano che a presiedere la Corte d’Assise andasse un magistrato “comprensivo”. Ma i tempi sono cambiati ed a confidare negli amici degli amici sono altri, gli eroi dell’Antimafia, che non perdono occasione di sputare (e far sputare) sullo Stato e, magari, di difendere i nuovi mafiosi e le famiglie di pretesi mafiosi per dimostrare che “l’assassinio è di Stato”. Cosa che un tempo lo dicevano gli anarchici.
Il mondo cambia. Ad applaudire a questi particolari cambiamenti ci sono i “puri”. I 5 Stelle.
Mauro Mellini