Un articolo di Felice Cavallaro dell’8 gennaio sul “Corriere della Sera” è riportato sui post ed ha fatto un certo scalpore. Titolo “La profezia avverata di Sciascia sui professionisti dell’antimafia”.
L’articolo è di estremo interesse, anche se impostato malamente e falsamente già nel titolo.
Sciascia non si atteggiò mai a profeta e tanto meno lo fece nel famoso articolo titolato (in realtà non da lui), “I professionisti dell’antimafia”.
Professionisti dell’antimafia non erano quelli a venire, anche se allora (1988) non se ne trovavano di così manifestamente gaglioffi ed ipocriti come quelli venuti poi in questi anni.
Sciascia parlava di professionisti dell’antimafia come di un fenomeno concreto e manifesto nella sua attualità. Il sangue di Falcone, di Borsellino, di altri, divenuto monopolio mediatico di una schiera di profittatori non era stato ancora versato. Ma l’antimafia come “mestiere” non aveva bisogno di essere inventata. E non aveva bisogno di essere scoperto il carattere intrinsecamente mafioso dell’intolleranza che, appunto si scatenò contro di lui.
Cavallaro, cui mi pare dovrebbe far giuoco un famoso insegnamento di Sant’Agostino, parla di “conversione” di molti giovani che allora rovesciarono sullo Scrittore le più volgari ingiurie. Non so se di “pentimento” (termine, del resto, già allora screditato) sia il termine esatto e se il fenomeno globalmente considerato, non andrebbe definito altrimenti, con minor riguardo per la buonafede di allora, che Cavallaro dà per scontata.
Più interessante è il riconoscimento dei guasti prodotti dall’antimafia e del sostanziale fallimento di una campagna in cui il clamore mediatico (della quale il tentativo di demonizzazione di Leonardo Sciascia è un esempio) e lo stravolgimento del concetto di giustizia, con tutte le sue derivazioni, sono caratteristiche essenziali. Riconoscimento assai parziale e prudente, quello di Cavallaro, cosa che ne fa uno scritto privo di originalità, di mera constatazione di ciò che non può essere assolutamente ignorato.
E questa considerazione non riguarda solo l’articolo e la persona di Cavallaro. Il “pentimento” degli ex giovani guerrieri dell’antimafia non può essere valutato senza qualche interrogativo: non avevano ancora cominciato a “pentirsi” questi signori quando è divenuto manifesto l’abuso dei pentiti e l’industria, appunto del pentimento dei mafiosi? E non avevano cominciato quando sono esplosi casi di sciacallaggio antimafia, quando la stampa siciliana ha “soppresso” un caso emblematico, pirandelliano, come il caso Musotto? E la questione dei beni sequestrati ai mafiosi è per questi signori intervenuta solo quando è esploso il caso Saguto e si è acceso il contrasto tra Don Ciotti e don La Torre? E Crocetta ed i suoi rapporti con Sicindustria? E Sicindustria, che noi abbiamo definito da molto tempo “il terzo livello” della (nuova) mafia, spina dorsale del nuovo sistema così vagamente accennato da Cavallaro?
Certo. Meglio tardi che mai e meglio questo che niente. Ma, poi si è portati a domandarsi che il “tardi” ed il “poco meglio che niente” altro non siano che la vera novità: la novità di una mafia nuova.
“Nuovo è bello”, dicevano i sostenitori della “Riforma Renzi”.
Mauro Mellini