Una coppia solofrana è stata denunciata dai Carabinieri della Compagnia di Avellino alla competente Autorità Giudiziaria perché ritenuta responsabile di un illecito smaltimento di acque reflue industriali, provenienti dal ciclo di lavorazione della loro conceria, nel torrente Solofrana.
L’operazione è stata condotta nell’ambito di un controllo ad ampio spettro disposto dal Comando Provinciale Carabinieri di Avellino, finalizzato alla tutela della salute del cittadino e della legalità nella sempre delicata materia ambientale.
Nella cittadina conciaria i Carabinieri, da un preliminare sopralluogo effettuato unitamente a personale della Polizia Locale e tecnici ARPAC, individuavano uno scarico, adiacente al letto del citato torrente, dal quale fuoriusciva della melma.
Le successive indagini, corroborate dal continuo monitoraggio di tale deplorevole azione destinata inevitabilmente a compromettere l’ambiente e, di conseguenza, il benessere delle persone, permettevano agli operanti di stabilire la provenienza di tale scarico originato da una conceria di Sant’Agata ed identificarne i responsabili.
Per i coniugi, lui 60enne e lei 50enne, scattava dunque la denuncia in stato di libertà alla Procura della Repubblica di Avellino. Nel corso dell’attività venivano altresì rilevate ulteriori responsabilità in danno della titolare dell’azienda, costatando diverse violazioni della normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. In particolare veniva accertato che:
– i lavoratori non erano stati sottoposti a visita medica preventiva prima di adibirli a mansioni che comportano l’esposizione ad agenti chimici pericolosi per la propria salute;
– non era stato elaborato il previsto D.V.R. (Documento di Valutazione del Rischio);
– veniva svolta l’attività con macchinari privi della prescritta autorizzazione per l’emissione nell’atmosfera dei fumi prodotti;
– alcuni locali non presentavano l’adeguata pavimentazione per la sicurezza degli operai.
Alla luce delle irregolarità riscontrate, i Carabinieri della Stazione di Solofra, procedevano quindi anche al sequestro preventivo dell’intero impianto conciario, senza facoltà d’uso, avente un valore di circa 2 milioni di euro.