Quando John Lennon compì quarant’anni e si presentò dopo un bel po’ di tempo con un nuovo disco, disse “Eccomi, sono qua, stiamo invecchiando insieme”.
E poi invece, mannaggia a lui, ci lasciò troppo presto.
Anche Freddie Mercury ci ha mollato nel 1991, quasi a sorpresa.
All’epoca non c’era il web, e certe cose se non te le dicevano i giornali non potevi saperle e basta, e lui fu attento a non divulgare la notizia della malattia, così ascoltare il nuovo disco dei Queen sapendo che era morto fu insieme uno shock e una bellissima malinconia.
Tra tutte le mie passioni musicali quella per i Queen si posiziona stranamente, come d’altronde loro hanno fatto sulla scena del rock.
Mai completamente affermati nelle vendite (pochissimi “numeri uno”), mai mainstream, mai autoriali, mai tecnicamente all’apice, mai i migliori in qualcosa.
Eppure sempre presenti, trasversali, amati da tutti indistintamente, sia dagli intellettuali con la puzza sotto al naso tutti Bob Dylan e Paul Simon, che dai punk pre e post Police fino agli aficionados del rock classico da tempio della musica come quello dei Beatles, Rolling Stones, Who, Pink Floyd.
Stevie Howe, chitarrista tecnicamente dotatissimo degli Yes e amico dei Queen, disse una volta: “Non capisco perché io studio come un pazzo, tiro fuori cose spettacolari e poi i ragazzi rifanno sempre i riff di Brian May”.
Mistero, questo dei Queen, che forse può essere capito solo rivedendo uno dei loro concerti.
Se in termini di discografia, autorialità, innovazione non furono i numeri uno, dal vivo furono in assoluto la band più amata, la più incredibilmente spettacolare di tutte.
Grazie a Freddie, di sicuro, e alle sue melodie fatte di un rock orecchiabile che però rimaneva dentro, di sentimenti quale sole-cuore-amore che in mano a lui diventavano opera, di quella sessualità ambigua che piaceva a uomini e a donne, di quel modo di muoversi e parlare che ti rapiva.
La performance a Wembley in Live Aid, che vidi in diretta, ancora mi dà la pelle d’oca: centomila persone che battono le mani al ritmo di Radio Ga-Ga e che formano un’onda umana che segue la velocità del suono nello stadio è qualcosa di incredibile.
Le oltre duecentocinquantamila persone che a Rio cantano “Love of my life” mentre Freddie le guarda e le incita a sostituirsi a lui sono immagini che non se ne vanno via tanto facilmente.
E quindi eccoci qua. Anche tu Freddie non sei voluto invecchiare insieme a me.
Ma ti devo dire, che alla fine te ne sono grato, perché ogni volta che ascolto la tua voce torno ad avere ventisette anni, come ne ho diciassette quando ascolto John, e li avrò per sempre.
Come omaggio alla genialità di questo immenso personaggio, penso che il video di “The Miracle” sia il più bello, delicato, fantasioso mai visto, con una band di piccoli Queen che canta sulle note di un inno alla vita e alla speranza, un’altra Imagine per noi che siamo abbastanza anziani e fortunati da averne ascoltate molte, e averci creduto a lungo.
Happy birthday Freddie.