Che un magistrato, tanto più se componente del C.S.M., dichiari pubblicamente che il Presidente del Consiglio “va fermato” è cosa, in sé, a dir poco “anomala”.
Certo, è però più grave assai che i magistrati, non si limitino a dirlo più o meno esplicitamente, ma che lavorino per anni “per fermare”, mandare a casa, anzi, in galera o, almeno ai servizi sociali un Presidente del Consiglio.
Che poi un magistrato che ha detto certe cose ricorra all’espediente di “rimangiarsele”, quando è evidente che le ha dette, è un discorso diverso che attiene ad aspetti più soggettivi e personali.
Ma, mentre salta subito agli occhi la diversità di reazioni a comportamenti sostanzialmente identici o analoghi sol che si tratti di dichiarazioni su Renzi invece che su Berlusconi, c’è un altro aspetto della questione sul quale pare che nessuno ponga attenzione.
Altre volte, per lo più quando si trattava di “pareri” espressi su Berlusconi, la questione veniva posta nei termini: “può un magistrato (magari componente del C.S.M.) esprimere tali giudizi sul governo, sul presidente, sul partito etc. etc.?
La risposta era sbrigativa. Tanto che non ne nasceva un caso. Anzi, se ne creava uno opposto: quello dell’”intolleranza”, delle “velleità repressive” berlusconiane nei confronti dei magistrati “che sono cittadini che devono essere liberi di pensare e di parlare come tutti gli altri”.
Nel caso Morosini il diritto di quest’ultimo di parlare (e, magari, di straparlare) “come tutti gli altri cittadini” (che nessuno sta a sentire perché, tanto, non sono “nessuno”) non è stato contestato in sé e per sé.
Il pandemonio, lo scandalo, la protesta, il (cosiddetto) Ministro della Giustizia che chiede un colloquio “per fare il punto” con il Vice Presidente Legnini del C.S.M. sono venuti in essere perché Morosini ha “incrinato i buoni rapporti del C.S.M. con il Governo faticosamente raggiunti”. Non si tratta di una questione di doveri formati di reciproca non interferenza tra diverse Istituzioni, ma della violazione di un patto, di un modus vivendi politico creatosi tra Partito della Nazione e Partito dei Magistrati.
A Morosini sembra si faccia carico di aver messo in crisi i rapporti tra due partiti che avevano cominciato ad andar così ben d’accordo.
E questo, da una parte, è pura verità.
Dall’altra è un solenne imbroglio perché, invece, si cerca di attribuire a Morosini la violazione di un patto di cui si nega (contro l’evidenza) l’esistenza e che è in sé inconcepibile.
Non è quel “Renzi va fermato”, che non spetta ai magistrati ed al C.S.M. stabilire e sentenziare (anche se, quando uno vuole “blindarsi” e inchiavardarsi alla poltrona, viene sempre qualcuno cui non spetterebbe, a “lavorare per fermarlo”). E’, invece la dichiarazione di Morosini che si darà un gran da fare per il NO al referendum (che è diritto che gli spetta come cittadino) che ha provocato proteste, interventi dell’Orlando Penoso, grida di allarme.
Eh, già. Perché pare che a Palazzo Chigi si cominci a pensare e a parlare del Referendum di ottobre con crescente preoccupazione.
Meglio così.
Mauro Mellini