La Scuola della Magistratura, emanazione del C.S.M. di equivoca valenza (è istituzione che presuppone una magistratura di tipo burocratico-napoleonico alla francese e che, in un diverso contesto, sembra uno strumento di indottrinamento pangiurisdizionalistico, qualcosa che ricorda la scuola delle Frattocchie del P.C.I.) ha indetto un sondaggio sulle opinioni degli Italiani su giustizia e magistratura. Benché tali sondaggi risentano sempre delle intenzioni di chi li indice, e ne formula i quesiti, l’esito può considerarsi disastroso per il Partito dei Magistrati. Non è qui ed ora che intendo farne l’analisi. Certo è che il prestigio, la fiducia, il consenso nei confronti della Magistratura è risultata fortemente scaduto e i rilievi critici, che vorremmo poter definire “garantisti”, appaiono assai più diffusi e condivisi di quanto fosse possibile prevedere.
Il fenomeno va considerato unitamente alla indiscutibile constatazione del favore e della connivenza che la magistratura continua a trovare nella stampa, nell’assenza di ogni forma di meno che estremamente sommesso, infrequente, non coerente critica del ruolo e della prevaricazioni complessiva della giurisdizione nella vita politico-sociale del Paese e, soprattutto, nell’assenza di ogni politica di contenimento e di fronteggiamento della strumentalizzazione della giustizia da parte di una classe dirigente degna di queste norme.
Non è questa la sede per analizzare le cause di questo scadimento del consenso nei confronti della Magistratura da parte della pubblica opinione.
Possiamo però anticipare (rispetto ad un più approfondito esame che speriamo poter portare a termine) che sembra che stiano venendo al pettine molti nodi (per non dire imbrogli) della storia del Partito dei Magistrati. Nodi che l’assenza di un’azione onesta e coerente della stampa può evitare di ricordare e prendere nella dovuta considerazione, ma che nulla e nessuno può impedire che sfuggano completamente all’opinione pubblica, anche la meno informata e ragionevole.
La prova di forza data abbattendo Berlusconi, lo stillicidio e l’apologia di interventi repressivi di dilaganti (ma certo non nuovi) fenomeni di corruzione, i miti e la propaganda sostanzialmente eversiva dell’Antimafia, non riescono più a coprire le magagne sia dell’esistenza e delle mene del Partito dei Magistrati, sia il coinvolgimento di molti suoi appartenente e di parecchi suoi “pezzi” nelle più sofisticate espressioni della deformazione e dello scadimento etico-politico-istituzionale, cui stiano assistendo in Italia in questi anni.
La saturazione (è impossibile non usare questo termine) della demonizzazione della classe politica, la diffusione della convinzione circa l’esistenza anche oltre i limiti, pur ampi, della corruzione generale, comincia a rivoltarsi contro la magistratura, che, spesso attraverso l’opera di suoi esponenti grotteschi, ed il loro insensato protagonismo, ha bandito la campagna dell’antipolitica e di una “moralizzazione” troppo spesso approssimativa, ipocrita e grottesca, finendo per coinvolgerla nel discredito.
C’è poi da considerare un “effetto Renzi” sul Partito dei Magistrati.
Intendiamoci bene: Renzi non ha mai avuto la benché minima intenzione di opporsi al Partito dei Magistrati. Basti pensare al suo braccio di ferro con Napolitano per piazzare l’ultras Gratteri al Ministero della Giustizia. Ignora, del resto le più elementari questioni di diritto e del funzionamento della giurisdizione per concepire qualcosa di diverso dalle altisonanti e grottesche dichiarazioni (basti pensare a quella circa la palingenesi semplificativa del processo civile!!!) ed a proseguire, invece della politica di acquiescenza dell’invasività della magistratura.
Ma l’idea che Renzi possa realizzare una sostanziale stabilità del potere politico, un nuovo regime democristiano verniciato di sinistrismo populistico e retorico, ha fatto generare nel Partito dei Magistrati tendenze a “non lasciarsi escludere”, a saltar sul carro, che potrebbe esser quello di un sia pur posticcio vincitore. L’eredità del Partito Comunista, per quanto abusivamente detenuta dal Partito Democratico, ha fatto, più che altro, da “copertura progressista” a certe tendenze.
Casi come quello del Procuratore della Repubblica di Arezzo, “imbarcato” quale consulente del Governo mentre è titolare dell’azione penale per lo scandalo bancario con venature di coinvolgimenti famigliari, è eloquente ed emblematico.
Tutto ciò, anziché rafforzare, indebolisce nella pubblica opinione la magistratura e contribuisce a toglierle quegli aloni di prestigio di un chimerico “contropotere” in difesa della gente.
C’è poi la grana della “scheggia impazzita” palermitana del P.d.M. che si abbandona ad atteggiamenti, oltre che ridicoli, scopertamente eversivi, che comportano il problema della difficile scelta tra la solita copertura delle malefatte della magistratura e la prudenza di una presa di distanza da posizioni difficilmente digeribili persino da Renzi e dai renzisti del P.D.
Sarebbe facile per noi dire: “l’avevamo detto”. Soprattutto sarebbe inutile, pur se giustificata e legittima affermazione. Preferiamo domandarci quale nuovo impegno richiede la situazione che va delineandosi.
La risposta non è certo facile.
Mauro Mellini