Lo scandalo della “Confiscopoli” palermitana ha toccato il culmine. Il culmine che altrove e con altri protagonisti sarebbe stato rappresentato dall’annunzio di arresti. Ci si deve “accontentare”, date le circostanze, della pubblicazione delle trascrizioni delle telefonate intercettate. Quelle, in questo caso, di persone che solitamente intercettano quelle degli altri.
Così avviene che, essendo nemici giurati delle intercettazioni (e come tali considerati concorrenti esterni di ogni congrega criminale e, assai probabilmente fatti oggetto di qualche intercettazione “esplorativa”), non riusciamo a nascondere una certa soddisfazione nell’apprendere che, stavolta, ad essere intercettati sono quelli dalla parte degli intercettatori, gli esponenti dell’Antimafia, i magistrati, i professionisti dell’Antimafia o, piuttosto gli sciacalli e gli affaristi della medesima.
Detto questo è pure difficile nascondere la rinnovata nostra propensione, di fronte a quanto emerge, all’uso di “parolacce” dialettali o no.
Nulla di meglio per esprimere compiutamente il nostro, una volta tanto non solo nostro, pensiero su quel che avviene a Palermo (che sarà certamente una siciliana “metafora”, come diceva Sciascia di quanto avviene anche altrove) che usare una assai brutta parola: “merdaio”. Scusate.
Si scandalizzino pure quelli che sono tanto “per bene” da non ammettere lo scandalo dell’uso di parole così volgari. Romanescamente rispondo: “quanno ce vo, ce vo”.
E quanti ritengono che la questione delle intercettazioni, del giuoco (si fa per dire) per cui tutti intercettano tutti, s’ha da interrompere vietando la pubblicazione delle registrazioni, basta oggi sbattergli in faccia le intercettazioni della Signora Saguto e degli altri “confiscopolitani”, che, a non pubblicarle, sarebbe sì “concorso esterno”. In merdaio.
C’è uno dei “confiscopolitani” che spiega che non c’è da preoccuparsi, perché quando si tratta, come nel caso, di magistrati, prima o poi c’è il “collega” che mette a posto le cose. La scoperta dell’acqua calda. Ma vedere certe proposizioni spiattellate nei discorsi di quelli del partito (e del sottogoverno) dei magistrati ed esposti in atti processuali fa una certa impressione.
Detto tutto questo, c’è da aggiungere che il fatto della Saguto, trasferita alla “porta accanto” dopo che è venuto fuori quel che è venuto fuori, nominandola mica addetta alle pulizie ma, nientemeno, che presiedere una Corte d’Assise, appare incredibile, inverosimile.
Una che distribuiva incarichi di quella taglia in famiglia e per contraccambiare “riguardi” usatile, messa a distribuire, magari ergastoli ed a condannare la mafia altrui: questo è il sistema.
Dovrebbe bastare. Anche se non posso fare a meno di trattare queste brutture e di chiamarle col loro nome, non provo certo gusto a rimestare sterco. E non è questione di lessico.
Mauro Mellini