Abolire l’ergastolo, considerare la tortura come reato autonomo.
Ecco le due riforme “liberali” che nella realtà italiana sono due esempi dell’ipocrisia innovativa dei nostri legislatori.
Dell’una e dell’altra questione si è fatto antesignano, non a caso, il Papa Francesco, in quanto suprema autorità morale (infallibile) ma anche quale monarca assoluto della Città del Vaticano, nella cui legislazione ha provveduto ad introdurre l’una e l’altra innovazione.
E’ da notare che Papa Bergoglio ha vissuto, nel suo Paese, l’Argentina, negli anni della dittatura dei Generali, che fecero della tortura un mezzo ordinario di governo e che dispensavano la pena di morte con disinvoltura quasi pari a quella dei regimi totalitari europei del Novecento. Ma la Città del Vaticano è pur sempre in Italia e così l’innovazione penalistica del nuovo Pontefice è significativa soprattutto perché nella vita del piccolissimo Stato, per una serie la più varia di motivi, le due ipotesi sono sempre state ed è prevedibile che rimangano per sempre puramente retoriche. Ci sarebbe da osservare che i predecessori di Francesco, di meno di due secoli fa, pure investiti dell’infallibilità, finché regnarono su di uno Stato di proporzioni non solo simboliche, fecero praticare generosamente la pena di morte, misero all’indice l’opera di Beccaria e, fino a che gli “usurpatori” Francesi non l’abolirono, fecero praticare la tortura. Ma la buona volontà è sempre da apprezzare, anche se professata a buon mercato e con qualche vistosa contraddizione.
E’ d’altro infatti che occorre preoccuparsi.
L’abolizione dell’ergastolo di cui si discute in Parlamento sarebbe, infatti, una abolizione con la sua brava eccezione (che, come si diceva una volta e talvolta anche oggi, conferma la regola). L’ergastolo “ostativo” quello cioè in cui non è consentita neanche dopo ventinove anni la liberazione per buona condotta e, magari, per motivi di salute, verrebbe escluso dall’abolizione ed, anzi confermato tale e quale. Confermato per i condannati per reati di mafia e di terrorismo. E, qui c’è l’inghippo gattopardesco ed ipocrito, questo ostacolo (già oggi operante) continuerebbe ad essere previsto per quei condannati che “non si pentono”, nel senso che non “collaborano”.
La pena più grave, di per sé da abolire perché considerata inumana e contraria ai principi stessi della finalità della funzione punitiva, finisce così per essere ridotta per estensione, ma conservata. Non solo, ma questo trattamento “inumano e degradante” finisce per colpire, intanto, più gravemente i condannati per mafia e terrorismo, perché innocenti e vittime di un errore giudiziario. I quali, per il solo fatto di non essere colpevoli e, quindi, di non poter avere complici, non possono essere in grado di “pentirsi operativamente” come, con malcelata ipocrisia lessicale, si definisce la scappatoia degli “impuniti”, quelli che dopo aver commesso i più orrendi delitti, sanno mercanteggiare la loro colpevolezza.
E qui viene fuori un’implicita connessione e contraddizione con la conclamata, definitiva messa al bando della tortura.
Secondo il codice oggi in vigore la tortura non si può dire (cioè, non si potrebbe dire) che non fosse punita penalmente, anche se non adeguatamente e come reato autonomo, costituendo, infatti reato le lesioni, le percosse, la “violenza privata” in cui essa si concreta. Quale reato autonomo la tortura deve essere punita per evitare che con la violenza e l’imposizione di patimenti insopportabili si voglia costringere la vittima a confessare una colpa, o professare un principio, o rinunciare ad un proprio convincimento.
Ma già Manzoni nella memorabile sua opera “Storia della Colonna infame” evidenziava la sostanziale identità di natura e di esecrabilità tra tortura e promessa di impunità al prezzo della “collaborazione”.
Quindi possiamo dire che se, fortunatamente, la tortura, quella comunemente intesa come tale, quella del libro di Verri e di quello di Manzoni non è più, come lo è stata sicuramente per troppi anni (ricordo di aver inteso una volta un brigadiere dei Carabinieri vantarsi dei suoi metodi “infallibili” di tortura…) in vigore nelle Caserme e nei Commissariati del nostro Paese, è invece pienamente ammessa e largamente praticata quella “tortura impropria” del “pentitismo”, tale secondo le considerazioni di Manzoni di cui sopra.
Ora con l’abolizione dell’ergastolo che sarebbe peraltro esclusa anche per gli innocenti ingiustamente condannati per reati di terrorismo, che non hanno modo di “pentirsi” e di “collaborare”, da errore processuale, la questione del “pentitismo” diventa (e si consolida come tale) errore ed orrore del diritto penale sostanziale.
Il riformismo approssimativo, facilone e null’altro che “rottamatorio” oggi prevalente non solo nella demagogia renzista, sta dunque realizzando quest’altra grave ferita alla dignità stessa del diritto.
L’invito alla riflessione è, purtroppo inutile ed il rischio è, per chi certe cose non le ignora, di ridursi, al più ad una mera, rassegnata testimonianza. Ma tacere sarebbe ancora peggio.
Mauro Mellini – www.giustiziagiusta.info