di Antonio Turri
Se la situazione non fosse al limite del tracollo della credibilità per la nostra classe politica a livello internazionale la vicenda di Mafia Capitale potrebbe al meglio essere descritta come fece anni fa il giornale tedesco Der Spiegel che nella copertina dal titolo: “Urlaubsland Italien” raffigurò il nostro Paese con un piatto di spaghetti e una pistola nel mezzo.
Le recenti ammissioni del ras delle cooperative rosse Salvatore Buzzi descrivono nei particolari come non pochi politici romani e nazionali, del Pd in particolare, definiti da quest’ultimo famelici, con l’ esclusione delle “ragazze e ragazzi” del Movimento Cinque Stelle e pochi altri, venissero finanziati con tangenti frutto degli appalti milionari concessi alle sue coop o a quelle legate a Comunione e Liberazione.
Quello che sta emergendo in queste ore bollenti di Agosto è un sistema di corruzione endemica di tipo mafioso che coinvolge gran parte della classe dirigente del Partito Democratico e della destra facente capo all’ex sindaco Gianni Alemanno, messo in piedi con i rappresentanti di quella mafia capitolina diretta militarmente da Massimo Carminati e la cui mente economica era rappresentata dall’ex “buono” di turno Salvatore Buzzi con l’aiuto di quell’oscuro Luca Odevaine già vicino politicamente al duo Veltroni-Zingaretti.
Piaccia o non piaccia a influenti settori della stampa italiana e agli “anti mafiosi” di partito, le recenti e dettagliate accuse di Buzzi coinvolgono direttamente gli uomini scelti dal sindaco di Roma Ignazio Marino e dal presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti.
Tangenti sporche e luridi accordi sulla pelle dei cittadini sarebbero serviti a foraggiare le carriere politiche di pezzi importanti della politica di questo sfortunato Paese. La cosa ancora più vomitevole e che in nome della legalità perduta, in cambio di benefit e denari pubblici si organizzavano iniziative antimafia dove i cattivi erano sempre e comunque gli altri. A Roma le mafie hanno costruito, più o meno indisturbate, fino all’arrivo del Procuratore Giuseppe Pignatone, una cupola in cui i politici hanno assunto la veste di padrini e boss senza pistola, portando a compimento quel processo criminale a cui ho dato il nome di Quinta mafia.
La risposta dalla politica e dalle istituzioni tarda ad arrivare e quello che è un cancro sociale mortale viene ancora una volta curato con palliativi quali quelli proposti dal prefetto della capitale Gabrielli che parla di probabile scioglimento per infiltrazione mafiosa dei piccoli comuni della provincia romana di Morlupo, Sacrofano, Castelnuovo di Porto e Sant’Oreste e del Municipio di Ostia e non di quello maggiormente colpito dal fenomeno: Roma. Siamo ad un bivio che porta ad una strada senza ritorno.
Dalle dichiarazioni rilasciate alla commissione parlamentare antimafia sempre dallo stesso prefetto della Capitale, a mio avviso inopportune, sulla poca affidabilità delle confessioni fatte da Buzzi ai magistrati della Procura di Roma non sarebbe fuori di luogo ritenere che si stia imboccando la via sbagliata.
Nel Paese dove si riesce a governare “ all’insaputa” di quanto avviene realmente e si pretende di dare patenti di legalità e anti mafiosità a destra e a manca, non si fa tesoro di quanto già avvenuto in passato in termini di “trattative” stato-mafie e ruoli impropri di settori e apparati, tant’è che si apprende da notizie stampa che Salvatore Buzzi lamenta come il suo collega di cella teme per la vita di entrambi. Come dire: Gaspare Pisciotta docet!