*di Antonio Turri
Non volevo credere alla notizia che il Prefetto di Roma Franco Gabrielli, si recasse all’iniziativa antimafia organizzata dal comune di Roma lo scorso 23 Maggio, in Piazza Anco Marzio, nel quartiere di Ostia, per “celebrare” il rito commemorativo della strage di Capaci. Franco Gabrielli è il prefetto che dovrà inviare al Ministero dell’Interno, entro il prossimo mese di Luglio, la relazione conclusiva sui lavori della commissione d’accesso che è chiamata ad accertare se le mafie autoctone o d’importazione abbiano o meno infiltrato l’amministrazione comunale della Capitale.
E’ legittimo domandarsi a questo punto se la foto del prefetto di Roma con al fianco il sindaco Marino, può essere interpretata come la decisione scontata che il Comune di Roma non verrà sciolto per essere stato infiltrato dalle mafie. Quindi, non è fuor di luogo presumere che per il potere politico-amministrativo, l’intera inchiesta della Magistratura romana a questo punto, impropriamente chiamata “Mafia Capitale”, sia una questione riconducibile ai soli Buzzi e Carminati e ai pochi sodali e non un’indagine su un intero sistema mafioso-corruttivo.
Quella foto, che ritrae inopportunamente controllore e controllato, è forse il sigillo all’assoluzione a cui giungerà la commissione d’accesso? Se la risposta sarà positiva, si dovranno rassegnare tutti coloro i quali ritenevano che quanto è emerso dalle migliaia di pagine dell’inchiesta diretta dal dr. Giuseppe Pignatone, avrebbe prodotto conseguenze sulla classe politica e sui poteri amministrativi che verrebbero, piaccia o non piaccia, preventivamente scagionati da qualsiasi responsabilità almeno di tipo politico-amministrativo.
Come dire: a Roma e nel Lazio le mafie sono solo coppole e lupare. Via dalla mente di chi ritiene che la legge sia uguale per tutti, le scene di buste piene di danari con cui i mafiosi veri o presunti pagavano le campagne elettorali o contribuivano ai redditi di pezzi della classe politica romana.
Ci si dovrà tutti convincere che le autorizzazioni amministrative per le attività economiche o la concessione di appalti ai boss romani siano state deliberate, probabilmente, dagli amministratori della Danimarca. Nessun colpevole e nessuna responsabilità. Tutti assolti.
Le mafie a Roma, se ci sono ma il dubbio è lecito, non hanno bisogno della politica. Del resto la via era segnata, infatti, solo alcuni mesi prima che scoppiasse lo scandalo mafie e corruzione a Roma, il Parlamento, provvidenzialmente, aveva annacquato l’articolo 416 ter sul voto di scambio politico mafioso, rendendolo, come sostengono moltissimi magistrati antimafia, di difficile applicazione.
La lotta alle mafie e alla corruzione si fa quindi con le parole, con i riti commemorativi sui palchi stanchi, ricordando le vittime passate a miglior vita e coinvolgendo qualche magistrato disponibile nel girone della politica. Il prossimo 19 luglio si “celebrerà” l’anniversario della strage di Via d’Amelio e sarà ancora una volta inutile per la classe dirigente di questo povero Paese ricordare le parole di Paolo Borsellino: politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio. O si fanno la guerra o si mettono d’accordo.
Aveva forse ragione la vedova dell’agente di polizia Vito Schifani: loro non cambiano. A Roma come a Palermo il problema è il traffico.
*Antonio Turri Presidente dell’Associazione nazionale “I Cittadini Contro le Mafie e la Corruzione”