Sul 22enne Touil Abdelmajid, arrestato nel milanese dalla Digos, pendeva un mandato di cattura internazionale da parte dell’autorità giudiziaria tunisina, perché sospettato di essere coinvolto negli attentati del 18 marzo al Museo del Bardo a Tunisi, quando morirono 24 persone e ne rimasero ferite 45.
Il giovane, ricercato dalle autorità tunisine con l’accusa di omicidio, sequestro di persona e partecipazione a una organizzazione terroristica, era già arrivato in Italia una prima voltanel febbraio 2015, con un barcone sul quale si trovavano a bordo altri 90 migranti.
Identificato dopo essere giunto a Porto Empedocle (Agrigento), era stato oggetto di un provvedimento di espulsione.
La strage al Museo del Bardo, aveva portato all’intercettazione di 9 terroristi islamisti collegati ai gravi fatti di sangue, che erano stati uccisi da unità speciali tunisine a Kafsa, nella parte meridionale della capitale.
Fra costoro Khaled Chaib, alias Lokman Abou Sakher, leader della cellula Okba Ibn Nafaa legata all’attentato contro il museo, ucciso nella regione di Sidi Yaiche.
L’azione terroristica, a differenza di quanto si era ipotizzato in un primo momento, era fin dall’inizio studiata per colpire il Museo e non il Parlamento.
A distanza di poche ore dall’attacco uno dei terroristi, che evidentemente aveva partecipato all’azione terroristica, aveva postato in rete un documento con il quale ricostruiva la giornata di terrore che è costata la vita anche a quattro italiani.
Sorgono intanto i primi problemi legati all’estradizione. In Tunisia infatti è i vigore la pena di morte per i reati che vengono contestati al giovane e questo potrebbe portare l’Italia a negare l’estradizione anche nel caso in cui la Tunisia dovesse accettare di accordarsi sulla non applicazione della pena capitale.
La vicenda riporta alla mente la scelta opposta che si fece quando vennero consegnati all’India i due marò accusati della morte di alcuni pescatori, avvenuta nel corso di una missione antipirateria.
In quel caso, nonostante anche in India fosse prevista la pena capitale per il reato contestato e le indagini fossero state condotte dagli indiani, fu deciso di consegnare i nostri cittadini, malgrado la nostra Costituzione lo vietasse.
L’arresto di ieri sera, qualora venisse confermata la colpevolezza del ragazzo marocchino, dimostrerebbe come le più recenti dichiarazioni del Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, stando alle quali non vi sarebbe alcuna evidenza di infiltrazioni di jihadisti tra i tanti migranti che arrivano sulle nostre coste, non risponderebbero purtroppo a quella alla realtà.
In attesa dell’autocelebrazione da parte di Alfano per l’esito dell’attività investigativa, ci sembra doveroso chiedere al Ministro quanti ad oggi siano i migranti giunti in Italia, quanti quelli identificati e fotosegnalati come previsto anche da direttive europee, quanti quelli ancora presenti e rintracciabili sul nostro territorio e quanti quelli resisi irreperibili.
Se l’assenza dell’evidenza di infiltrazioni terroristiche è quella che ci viene fornita oggi con un arresto a seguito di mandato di cattura internazionale da parte delle autorità tunisine, forse sarebbe il caso di riflettere sui ruoli di responsabilità di chi ormai da tempo dimostra un’inefficienza che di fronte all’emergenza terrorismo non possiamo permetterci.
Gian J. Morici