Trentacinque anni trascorsi a parlare di questione morale, dell’occupazione da parte dei partiti dello Stato e di tutte le sue istituzioni. Trentacinque anni per arrivare ad oggi con una sola domanda: “a chi parlava Berlinguer in quel lontano 1981, quando stigmatizzava la lottizzazione clientelare dello Stato?”
La risposta è semplice: “Berlinguer immaginava già il futuro della sinistra italiana”. Condannata anche moralmente la vecchia DC, i rampolli della nuova sinistra non hanno tardato ad occupare i posti dei loro predecessori, mantenendo intatta, e rafforzandola ulteriormente, la logica delle oligarchie viste in funzione degli interessi di partiti e potentati economici.
Trentacinque anni persi, se ancora oggi un diritto viene “concesso” solo se crea vantaggi e instaura rapporti di clientela all’interno dei quali i beneficiari fanno atto di devozione nei riguardi del loro benefattore.
Quasi invisibili, i benefattori esercitano il loro potere senza esporsi, senza neppure avere bisogno di confrontarsi con i cittadini alla ricerca di un consenso elettorale che potrebbe esser loro negato. Sono i burocrati che stanno dietro le quinte, legati a doppio filo ai partiti, ai poteri economici, alla cosiddetta società civile rappresentata dalle associazioni, che di civile ha ben poco.
La “casta”
Fondata sui privilegi di potenti e intoccabili “benefattori”, si costruisce ampi spazi di manovra nella gestione della “res publica”, ovvero della “cosa pubblica”” e non “res nullius”, che significa letteralmente “cosa di nessuno” e che in quanto tale non ne viene rivendicata la proprietà, fatta salva l’eccezione da parte di chi – non si sa a quale titolo – possa disporne a suo piacimento facendone mercimonio, trasformando il diritto in favore.
Gli italiani da un po’ di tempo sembra si siano resi conto di quello che accade nel Bel Paese e sempre più spesso, in particolare tramite i social network che si sono sostituiti al bar e al barbiere, denunciano e imprecano contro i casi di malaffare e malapolitica che vedono coinvolti politici, burocrati, sindacalisti, associazioni e persino chi si fa vanto di difendere i principi della legalità.
Lo scandalo resta però relegato al post su Facebook, dove si moltiplicano “like” e commenti. Le motivazioni sono più di una. Tra quelle più comuni il fatto che spesso si è sotto ricatto per favori ricevuti in precedenza o per il timore di non riceverne in futuro. Non meno importante lo spazio di comunicazione, visto che molti media evitano accuratamente di entrare nel merito di questi aspetti e i soli social rischiano di diventare sfogatoi personali senza alcuna ripercussione sul mondo reale.
In trentacinque anni, dunque, l’unico cambiamento consiste nell’aver trasferito le clientele da una sigla di partito ad un’altra, con l’aggravate di avere aggiunto l’ambiguità di alcune associazioni che fanno da collante tra il cittadino e i “benefattori”, essendo esse stesse, al contempo, “benefattori” e “beneficiari”. A prescindere da aspetti più o meno leciti di questo mercimonio della “cosa pubblica”, resta da chiedersi: “che fine ha fatto la questione morale sollevata da Berlinguer?”
Oggi, la questione morale in Italia finisce stritolata in quella guerra tra bande che ha fatto a brandelli la cosa pubblica, nel più assoluto silenzio di istituzioni, media, sindacati e associazioni.
Ma v’è di più. Siamo anche riusciti ad esportare il nostro prodotto al di là delle Alpi. Grazie ai partiti e alle associazioni, abbiamo esportato i “prototipi” senza neppure brevettarli, così che ognuno possa copiarli e trarne beneficio.
Prendiamo per esempio la Francia. Parigi, la capitale francese che con oltre 28 milioni di turisti l’anno è la città più visitata al mondo, con una posizione internazionale di grande prestigio come centro culturale, politico ed economico, ne è un esempio.
Parigi, le cui numerose attività affaristiche, politiche e turistiche, ne fanno uno degli “hub” più importanti al mondo non poteva essere avulsa da tale contesto. È infatti sede di partiti politici italiani, associazioni e organi stampa italo-francesi.
La capitale francese, è anche sede di prestigiose scuole italiane, come l’Istituto comprensivo statale “Leonardo da Vinci”. Un istituto che di recente è salito agli “onori” della cronache per un episodio che ha suscitato non poche perplessità. Il Dirigente scolastico dell’istituto ha infatti negato la possibilità di un incontro tra familiari di vittime innocenti di mafia e gli studenti, trincerandosi dietro un irremovibile: “non è in programmazione!”.
Alla pari del liceo scientifico di Parigi, soltanto quello di Catania, che merita di essere annoverato tra le poche scuole che hanno mostrato scarsa attenzione verso un fenomeno che ben altra sensibilità merita.
Gli amici degli amici. Ovvero Pd, associazioni e stampa
Dinanzi chi lamenta il silenzio del preside del liceo scientifico ad una richiesta di informazioni e ulteriori spiegazioni, evidenziando al contempo che esistono norme e regolamenti che la Pubblica Amministrazione deve rispettare e che la gestione non può essere “personalizzata” come nel caso di eventi realizzati a prescindere dalla programmazione, si registra l’interessante intervento di Patrizia, rappresentante di un’organizzazione che accomuna le associazioni italo-francesi, legata al Pd di Parigi e “direttrice della pubblicazione” di una delle poche riviste italiane in Francia, che scoperchia il più classico dei vasi di Pandora.
Patrizia, le cui associazioni risultano tra quelle che hanno permesso la realizzazione di un evento non previsto dalla “programmazione” (il Piano dell’Offerta Formativa dell’istituto nel corso degli ultimi anni non prevede neppure in un solo caso l’educazione alla legalità), sostiene di comprendere il dissenso dinanzi ad episodi come quello di cui si è reso protagonista il Dirigente scolastico, precisando però che persone come il Console e il preside “sono il meglio che ci possa essere nel mercato ‘estero’ e io con questi riesco finalmente a lavorare/collaborare”. Ad onor del vero, a prescindere da cosa intendesse Patrizia dicendo “con questi riesco finalmente a lavorare/collaborare”, l’unico riferimento che abbiamo potuto riscontrare sta tutto in una frase di ringraziamenti al Console, pubblicata nel giornale nella parte in cui vengono indicati i collaboratori e i componenti della redazione.
Premesso che sconoscevamo il “mercato estero” di presidi e diplomatici e che risulta incomprensibile il tipo di lavoro che con gli stessi possano svolgere associazioni, partiti politici e testate giornalistiche, la questione assume contorni ancora meno chiari quando la donna continua dicendo: “libero di pensare che un preside che non riceve i genitori o che non accetta un incontro merita di essere impiccato e crocifisso. O che un consolato che non riesce a fornire un passaporto in 2 mesi va chiuso a scapito di chi dal consolato dei servizi li ha (e parlo di anziani, indigenti ecc)”.
Dunque, per Patrizia, un preside può rifiutarsi di incontrare il genitore di uno studente che chiede di essere ricevuto per questioni che riguardano il figlio e la scuola, ed è normale che un Consolato non riesca a fornire un servizio quale il rinnovo di un passaporto in due mesi. A complicare il tutto, il riferimento alla madre del ragazzo che a suo dire aveva “avuto rapporti buoni con il consolato finora perché conosceva il console o qualcuno all’interno. Gli altri che non avevano questa fortuna hanno ‘subito’ la stessa cosa per decenni. Neanche questo è giusto”.
Certo che non sarebbe stato giusto ma in virtù di precedenti ingiustizie (i favoritismi intanto venivano smentiti dall’altra interlocutrice), si può legittimare uno stato di cose con il pretesto che andava cambiato da prima? Tanto più, può legittimarlo chi rappresenta associazioni che blaterano di legalità e che inoltre potrebbe avvalersi del proprio giornale per denunciare all’opinione pubblica le presunte inefficienze e irregolarità della pubblica amministrazione?
Purtroppo al peggio non c’è mai fine e dinanzi al fatto che il ragazzo figlio dell’altra interlocutrice avesse vissuto – anche a causa della scuola – un periodo molto difficile, tanto da dover fare ricorso ad uno specialista; la risposta di Patrizia è lapidaria e sconcertante: “Lui ne ha fatto le spese e con il bene che gli voglio non è giusto, ma non era altrettanto giusto che prima chi non aveva conoscenze fosse trattato così”.
Uno spaccato di “quotidianità” italiana a Parigi. Millantato credito di amicizie e favoritismi? Un “mi manda Picone” in versione francese? Probabilmente si – o perlomeno ci auguriamo sia così – ma non v’è dubbio che istituzioni, qual è la scuola, sono e devono essere a servizio dei cittadini e non possono rappresentare piccoli centri di potere da gestire in virtù di rapporti personali, simpatie politiche o legami con le associazioni. In particolare quando questi comportamenti confliggono con gli interessi di un giovane studente e con gli obiettivi che l’istituzione scolastica si prefigge di raggiungere.
Il telefonino di Patrizia squilla. Le note di “Bandiera Rossa” sembrano evocare rivoluzioni lontane, conquiste di diritti sociali, eguaglianza, libertà. La libertà di cambiare etichetta ma non la sostanza alle cose?
La morale resta sempre la stessa, così come la domanda: “A chi stava parlando Enrico Berlinguer?”
Nomenklatura all’italiana…
Lontano un telefonino squilla. Tra un po’ le note di “Bandiera Rossa” forse andranno a riempire un’altra stanza, dove si parlerà di partito, associazioni, libera stampa. Sì, la libertà di stampa, quella di scegliere liberamente chi servire, disinteressandosi dei problemi della collettività…
Gian J. Morici
P.S. Prove del dialogo restano a disposizione di quanti per ragioni di ufficio o al solo fine di smentire quanto affermato da Patrizia, salvaguardando così l’immagine dell’istituzione rappresentata, ne facessero richiesta.