“Ci sono giornalisti impiegati e giornalisti giornalisti, l’Italia non è un Paese per giornalisti giornalisti”. Sono le parole usate nel film ricostruzione “Fortàpasc, dal caporedattore di Giancarlo Siani, ucciso nel 1985 perché da “collaboratore senza titoli” investigava nel mondo della camorra, che abbiamo inserito nel precedente articolo dal titolo “Totem sacri – Mafia, Antimafia e Informazione”.
A tornare oggi sull’argomento, il giornale “Grandangolo” che pubblica la sentenza n° 849 depositata il 2 aprile 2015, con la quale la Prima sezione del Tar ha rigettato in toto il ricorso proposto dalla “Mediatel S.r.l.”, difesa dagli avvocati Giuseppe Arnone, Girolamo Rubino e Massimiliano Valenza, contro la determinazione del 5 maggio 2012 adottata dall’allora Commissario Asi di Agrigento, Alfonso Cicero, che prevedeva la revoca del lotto assegnato a Mediatel Teleacras, a seguito di un’informativa antimafia prefettizia interdittiva in capo alla stessa.
“La replica di Teleacras: In relazione alla sentenza di primo grado resa dal Tar sul ricorso proposto da Mediatel srl, il sottoscritto, avvocato Girolamo Rubino, difensore della ricorrente, fa presente che in sede cautelare già una prima volta il Cga ha accolto l’appello cautelare, e pertanto confida nell’accoglimento della richiesta di sospensione cautelare della sentenza, che sarà richiesta all’appello la settimana prossima. Per quanto concerne poi le vicende sottostanti all’informativa impugnata, il sottoscritto fa altresì presente che, a seguito del decesso del sig. Giovanni Miccichè, era stata avanzata una richiesta di aggiornamento dell’informativa medesima davanti alla competente Prefettura-Ufficio territoriale del governo di Agrigento, senza che quest’ultima abbia ritenuto di provvedere in merito. Pertanto è stato proposto un nuovo ricorso davanti al Tar Sicilia, con il patrocinio dello scrivente, avverso il “silenzio-inadempimento” formatosi, con la richiesta che venga sancito l’obbligo di provvedere sull’istanza avanzata. Solleciteremo la fissazione di questo nuovo ricorso che potrebbe parimenti essere dirimente”.
Senza entrare nel merito della vicenda che riguarda l’emittente agrigentina, ancora oggetto di ricorsi il cui esito non è scontato, è innegabile che provvedimenti e sentenze in materia di prevenzione delle infiltrazioni mafiose, a carico di una testata giornalistica, non rendono certo onore al mondo della stampa siciliana.
Non v’è dubbio infatti che nell’isola, dove sopravvivono pennivendoli di scarso spessore, lavorino ottimi giornalisti, a volte anche per conto di editori i cui trascorsi gettano oscure ombre sul loro operato. Giornalisti che hanno però difficoltà a potere lavorare in un ambiente che risente dei forti condizionamenti esterni, a cominciare dalla cosiddetta “linea editoriale” o scelta redazionale” che anziché tener conto della qualità della notizia, finisce con il sottomettersi ad interessi economici che, seppur legittimi, impongono “scelte” che nulla hanno a che vedere con la libertà di stampa e con il diritto dei cittadini ad essere informati.
A queste “pressioni”, si aggiungono quelle di soggetti che minacciano conseguenze nei confronti di coloro che non si prestano a esaudire le loro volontà. Ne è esempio recente l’attacco da parte di un piccolo esponente politico che non ha esitato a denigrare alcuni giornalisti che non intendono sottostare ai suoi desideri.
Personaggio già noto alle cronache, anche giudiziarie, che in passato non ha esitato a inviare minacciosi comunicati anche al nostro giornale, nella speranza, vana, di ottenere le stesse vergognose condizioni previste da un contratto che aveva sottoscritto con l’emittente Teleacras o le “simpatie” che aveva mostrato un giornale definito dal politico “il miglior quotidiano online della provincia”. Salvo poi cambiare opinione quando non vide più accolte le sue richieste. Ancora oggi, “il miglior quotidiano online della provincia” continua a svolgere il proprio ruolo di informazione, descrivendo come “camionate di fango” notizie e documenti che, pubblicati da altre testate, non avevano trovato spazio nel suddetto giornale. Un articolo divertente già dal titolo che vede il noto drammaturgo inglese Shakespeare ribattezzato in Shakespaire. Del resto, come aveva dichiarato il direttore della testata, autore dell’articolo, non ha mai letto un libro in vita sua. E si vede…
I condizionamenti, di qualsiasi genere essi siano, ovviamente hanno ripercussioni concrete nella società. Meccanismi noti anche alla mafia che ben sa di come possa continuare ad esistere soltanto grazie al controllo del territorio regolato da rapporti di forza, ben spiegati dalle parole del Giudice Paolo Borsellino: “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.
Possiamo ignorare che tanto la politica quanto l’imprenditoria hanno necessità di “gestire” l’informazione? Saremmo veramente ciechi se non vedessimo il nesso che esiste tra questi poteri e i sottili equilibri che ne caratterizzano la sovranità territoriale. Un legame inscindibile all’interno del quale vengono stabiliti i rapporti di convivenza, il cui prodotto, per quanto riguarda il giornalismo o una pseudo letteratura, è un’informazione – più o meno consapevole da parte degli autori – che distorce la prospettiva corretta, promuovendo la figura di soggetti la cui storia criminale non merita certo di essere esaltata.
La mafia infatti non si pone soltanto l’obiettivo del risultato economico – che comunque resta tra gli obiettivi primari – ma anche quello di controllare il tessuto sociale del territorio che domina, creando rapporti di dipendenza personale, trasformando i diritti in favori e riuscendo anche a soddisfare le necessità della gente in sostituzione dello Stato.
Ovviamente questo produce la sua legittimazione a livello sociale e culturale. Da questo contesto non è avulso il mondo del giornalismo che a volte consapevole, altre volte no, grazie alle censure delle notizie o alla mistificazione delle stesse, si dilettano nel denigrare coloro i quali non sottostanno ai desiderata dei potenti. Assistiamo così agli attacchi mediatici in danno del “ribelle” o agli sketch, apparentemente divertenti, di incolti giornalisti che con la “coppola” in testa hanno offerto un’ignobile parodia della mafia, senza forse neppure rendersi conto di come tale comunicazione finisca con lo sdoganare e legittimare il fenomeno mafioso.
Gian J. Morici