Ultimamente ho seguito un processo, nella qualità di difensore della persona offesa costituitasi parte civile, per abusi sessuali su un minorenne.
Per correttezza ma soprattutto per rispetto della privacy del minore non indicherò i nomi della triste vicenda nemmeno con le iniziali ma indicherò il violentatore con il nome inventato di Nicola e quello del minore con il nome di Gianluca.
La vicenda risale alla fine dell’estate del 2011 e si svolge a bordo della motonave Palladio che da Porto Empedocle va verso Lampedusa.
A bordo si trovano due nuclei familiari uno composto da due coniugi, di cui uno è Nicola e due figli di cui uno maschio di circa 9 anni ed una femmina; l’altro nucleo familiare è composto da una mamma e dal proprio figlio Gianluca anch’esso di circa 9 anni.
I due nuclei familiari si sistemano in due cabine, comunicanti tra loro, da una parte Nicola con il proprio figlio e il piccolo Gianluca e nella cabina comunicante la moglie di Nicola con la figlia femmina e la mamma di Gianluca.
La mattina successiva, prima di arrivare all’isola di Lampedusa, il piccolo Gianluca racconta alla mamma che Nicola durante la notte gli aveva toccato il sederino prima con la mano e poi con il proprio organo genitale.
Giunti all’isola la mamma di Gianluca si dirige direttamente presso la locale stazione dei Carabinieri per presentare una querela ai danni di Nicola e da li cominciano tutta una serie di indagini che coinvolgono anche il nucleo RIS di Messina.
Esaurita la fase delle indagini preliminari, durante le quali l’indagato Nicola viene rinchiuso, in custodia cautelare, presso la Casa Circondariale di Agrigento, si giunge al processo nel quale vengono sentiti vari testimoni tra i quali gli operatori del RIS di Messina, il nonno del piccolo Gianluca, al moglie e due figli dell’imputato Nicola, gli operatori della P.G. e anche dei consulenti sia dell’imputato che della parte civile.
Da premettere che sia il minore Gianluca sia la mamma di quest’ultimo erano già stati sentiti in fase di incidente probatorio e sia il minore sia la mamma hanno confermato tutto ciò che già avevano esposto in sede di querela.
Conclusasi la fase istruttoria il Tribunale di Agrigento emetteva la sentenza con la quale riconosceva a pieno la penale responsabilità dell’imputato Nicola poiché riteneva che la fase istruttoria aveva dimostrato pienamente la colpevolezza di questi.
Un aspetto che fu messo in discussione dalla difesa dell’imputato è stata la credibilità del minore e sul punto il Tribunale di Agrigento ha evidenziato che Gianluca era stato sottoposto a una perizia psichiatrica con la quale era stato accertata la sua piena capacità a rendere testimonianza.
In particolare, il Tribunale di Agrigento, richiamando delle sentenze della Corte di Cassazione, nella specifica materia delle dichiarazioni rese dal minore vittima di reati sessuali, la giurisprudenza richiede un duplice esame, circa l’attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo utile ed esatto, nonché la sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne.
Nel caso di specie, specificava il Tribunale di Agrigento, il minore si presenta credibile perché lineare, privo di contraddizioni, coerente e sufficientemente riscontrato dalle deposizioni degli altri testi dagli accertamenti tecnici.
Peraltro, le dichiarazioni testimoniali erano state puntualmente confermate anche dalla mamma del piccolo Gianluca senza alcuna contraddizione rispetto alla versione racconatata dal figlio.
La sentenza evidenziava anche che i consulenti tecnici avevano riscontrato, che sulla maglietta del pigiama del bambino era presente una traccia di liquido seminale riconducibile con certezza a Nicola.
In punto di diritto la sentenza specificava che non vi erano dubbi sulla qualificazione della condotta dell’imputato quale violenza sessuale aggravata poiché il delitto in esame è configurabile sia nel caso di rapporto sessuale completo sia nel caso di compimento di atti sessuali poiché ai fini della configurabilità del reato è sufficiente un’intrusione nella sfera sessuale della vittima e ciò è stato più volte sancito dalla Suprema Corte di Cassazione.
La Corte ha anche accolto un significato ampio del requisito della violenza nei reati sessuali, tale da ricomprendere non solo lo sprigionamento di un’energia fisica contro la quale la vittima non è in grado di opporre resistenza ma anche un minimo di violenza quasi con connotazione civilistica di detta nozione come mezzo di coartazione della volontà e il compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa, così venendosi a superare la contraria volontà del soggetto passivo.
Sostanzialmente non è necessario che la violenza sia tale da impedire qualsivoglia resistenza ma basta che la violenza a seconda delle circostanze pone il soggetto passivo in condizione di non poter opporre tutta la resistenza che avrebbe voluto e la costrizione di cui si tratta può aversi anche se la vittima non ha invocato aiuto, dato l’allarme, riportato lacerazioni di indumenti e lesioni sul corpo.
Per tutte queste ragioni Nicola è stato riconosciuto colpevole e condannato alla pena della reclusione di anni sette nonché alla interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e interdetto legale durante la pena; è stato interdetto in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela e alla curatela e interdetto in perpetuo da qualsiasi incarico nelle scuole di ogni ordine e grado nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori; ha condannato l’imputato al risarcimento del danno da liquidarsi in sede civile nonché alla rifusione delle spese legali di parte civile.
Negli ultimi giorni anche la Corte di Appello di Palermo ha confermato integralmente la sentenza del Tribunale di Agrigento che era stata impugnata dai difensori di Nicola.
Adesso attenderemo se Nicola vorrà presentare ricorso in cassazione altrimenti la battaglia si sposterà in sede civile per il risarcimento del danno.
Avv. Giuseppe Aiello
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