Articolo dell’Unita del 25 marzo 1966
Un nuovo crimine è stato confermato in Sicilia: il comp. Carmine Battaglia di 43 anni, assessore socialista a Tusa – un piccolo comune di montagna in provincia di Messina, amministrato dalle forze di sinistra – è stato assassinato all’alba di oggi con due colpi di fucile calibro 12 caricato a lupara mentre si recava al lavoro nei campi. Gli assassini non sono stati ancora identificati: tuttavia il delitto è maturato in un clima di tante e tali intimidazioni anticontadine, passate e recenti, da recare ben chiara la firma della mafia che, giusto nella zona di Tusa (e cioè al di fuori della sua tradizionale area di influenza) ha forti radici e consistenti interessi.
Il delitto è stato compiuto poco dopo le 4 del mattino in contrada Santa Caterina, a tre chilometri e mezzo dal paese, Carmine Battaglia stava percorrendo una impervia “trazzera” quando sono partite due fucilate che lo hanno raggiunto in pieno petto. Il cadavere martoriato dalla rosa dei micidiali pallettoni della lupara, è stato scoperto soltanto quattro ore più tardi da un gruppo di contadini che percorreva la stessa strada. Da Tusa sono accorsi i carabinieri della locale stazione: identificato l’ucciso nell’assessore Battaglia, i militi hanno trasmesso un preoccupato allarme alla tenenza di Santo Stefano Camastra e poi alla legione di Messina da dove è giunto nella tarda mattinata il colonnello De Franco che ha assunto il comando delle indagini. Per tutta la mattinata, però, si è invano atteso che le indagini imboccassero una pista precisa, ed in particolare quella del movente politico, che viene indicata come la più consistente da tutta l’opinione pubblica e che stasera viene ripresa persino dalla insospettabile stampa di destra.
Ed è proprio questa sconcertante cautela “ufficiale” – che non solo in questo, ma in decine di crimini di analoga natura che sono costati al movimento contadino siciliano uno spaventoso tributo di sangue – che ha regalato sempre agli assassini un buon margine di vantaggio, talora addirittura la sicurezza dell’impunità. Eppure, come si è detto, il nuovo crimine è maturato in un clima che non può lasciare adito a dubbi di sorta.
A Tusa – un paesino nascosto tra i monti Nebrodi, a mille metri di altezza, economia silvo-pastorale poverissima, poco più di cinquemila anime – la maggioranza degli elettori con le amministrative dell’inverno ’64, aveva sottratto il comnune alla DC e alle destre, affidandone la gestione a uno schieramento unitario che comprendeva i comunisti (tre assessori), i socialisti (due assessori) e i democristiani dissidenti di sinistra (il sindaco e un assessore.
Sull’onda di questo successo – che aveva spezzato una lunga e soffocante ipoteca delle forze conservatrici della zona – era nato e si era sviluppato a Tusa un movimento organizzato dei contadini che aveva portato, l’anno scorso, alla costituzione di una cooperativa democratica. Questa cooperativa – di cui era dirigente, con altri, il compagno Battaglia – aveva condotto insieme a una consorella del vicino centro di Castewl di Lucio una forte iniziativa che aveva portato a un primo e consistente successo: l’assunzione in gestione diretta del feudo Foieri, 270 ettari di terra, adatto alle trasformazioni progettate dagli 80 cooperatori.
Il passaggio della terra ai contadini aveva provocato una serie di gravi scontri tra i partecipanti alle due cooperative e il gabbellotto della feudataria, baronessa Lipari: di tali intimidazioni le cooperative avevano interessato, denunciandole energicamente, polizia e carabinieri. Ma nessuno intervenne, sicché i mafiosi avevano potuto portare avanti, indisturbati, l’offensiva anticontadina, non esitando tre mesi fa a organizzare persino una sparatoria che aveva il preciso senso di un “avvertimento”.
Se questa vicenda della cooperativa non bastasse, il compagno Battaglia giocava un ruolo diretto, personale, in affari pubblici che potevano interessare la mafia.
Come assessore al Patrimonio, egli aveva infatti una specifica competenza nell’attuale taglio di bosco, nelle selve del demanio comunale, un settore di tradizionale forte interesse per l’intermediazione parassitaria. Risulta che il compagno Battaglia stesse proprio per indire la tradizionale gara di appalto per il taglio.
C’è quanto basta, insomma, per comprendere da che parte sia potuta venire, all’alba, la scarica che ha ucciso ancora una amministratore popolare siciliano. Che dunque proprio questa direzione debbano orientarsi subito le indagini, lo sostine questa sera, a Palermo, persino un foglio di estrema destra che, pressato dalla evidenza dei fatti è costretto ad ammettere a tutte lettere che, la spartizione di feudi e di proprietà comunali turba un equilibrio istaurato da anni e da gabellotti e “personaggi autorevoli” provocando il loro risentimento per il fatto che vengano meno illeciti introiti.
Il clima, insomma, è lo stesso che la coscineza contadina siciliana conosce molto bene ormai da venti anni: quello stesso clima che segnò la morte del compagno Placido Rizzotto a Corleone, del compagno Accursio Miraglia a Sciacca, del compagno Paolono Bongiorno, del compagno Salvatore Carnevale a Sciara, e degli altri 60 dirigenti popolari capolega e contadini trucidati dalla mafia nel dopoguerra. Un clima che, purtroppo, e malgrado la Commissione parlamentare antimafia e le talora vistose operazioni di polizia, non è stato diradato.
A Tusa, frattanto, sono giunti numerosi dirigenti provinciali del partito socialista, del partito comunista, del movimento cooperativo, della CGIL e dell’Alleanza per testimoniare, con la loro presenza, della decisa volontà di non tollerare una ennesima archiviazione per delitto “ad opera di ignoti”.
(Il delitto resterà impunito N.D.R.)