In Siria il black out di internet è stato totale per oltre due ore a seguito di un presunto attacco informatico rivendicato da un gruppo che si fa chiamare “Esercito CiberEuropeo” che ha rivendicato l’azione spiegando come la stessa sia in rappresaglia agli “attacchi dell’esercito elettronico Sirius (SEO) contro l’Occidente”.
La SEO in passato ha attaccato i siti web dei media occidentali e di recente ha sabotato gli account Twitter del FC Barcelona.
Diversa la situazione della Turchia dove l’azione è stata condotta dal governo del premier islamico Recep Tayyip Erdogan, coinvolto in una serie di scandali resi noti all’opinione pubblica grazie al social Twitter.
In risposta a quanti avevano utilizzato la rete per rendere note le malefatte del sultano di Ankara, in forza di una legge bavaglio sul controllo di internet, l’autorità delle telecomunicazioni turca Btk ha bloccato gli accessi al social network che ormai in molti paesi governati da regimi totalitari viene utilizzato sempre di più per veicolare notizie ed immagini che non troverebbero spazio su media tradizionali sottoposti alla censura dei governi locali.
Erdogan, che aveva rimosso migliaia di poliziotti e centinaia di magistrati che avevano contribuito a indagini per corruzione che vedono coinvolti numerosi appartenenti al regime, ha deciso di porre fine in questo modo alla diffusione di ogni notizia che possa gettare ulteriori ombre sul governo da lui presieduto.
È la prima volta che il governo turco decide in maniera tanto palese di censurare ogni forma d’informazione. Un atto vile che dimostra come la rete oggi sia in grado di sopperire alle carenze di una stampa tradizionale sempre più censurata e sotto il controllo di forze politiche ed imprenditoriali.
La gravità di un gesto di questa portata dovrebbe suscitare le reazioni della comunità internazionale, in mancanza delle quali diventerebbe chiaro a tutti il progetto di molti governi che vorrebbero imbavagliare ogni forma di libera informazione che permetta di portare alla luce gli scandali che riguardano il mondo della politica.
Gian J. Morici